Le pale a vento: storia dell’eolico in Maremma
a cura di Fabiola Favilli
L’energia eolica in Maremma ha una storia autorevole ed affascinante, collegata al suo sviluppo ed alla sua “redenzione”. Dobbiamo immaginarci un vasto territorio che negli ultimi anni dell’800 era ancora invaso dalle paludi, anche se l’azione delle bonifiche lorenesi aveva in parte cambiato il paesaggio: i principali canali erano stati già realizzati, tuttavia la maggior parte dei terreni sulla costa non erano ancora utilizzabili neanche per il pascolo brado.
Alcuni imprenditori intravidero in questo far west della Toscana delle potenzialità, ed a poco prezzo acquistarono grandi latifondi: è il caso dei Vivarelli nella zona dell’Uccellina, dei Ricasoli intorno al Capoluogo, dei Collacchioni a Capalbio, i Guicciardini a Lattaia, i Bicocchi a Follonica, ed altri. La voglia di rendere produttive le loro proprietà, unita all’ebbrezza che in quell’epoca si respirava dovuta all’arrivo della ferrovia, dell’illuminazione pubblica, di nuove e più moderne macchine agricole, resero i latifondisti maremmani dei veri pionieri. Essi infatti osservavano attraverso i giornali ed i loro viaggi come in altre parti del mondo si provvedeva a risolvere gli storici problemi legati ai territori più difficili, ed attraverso la tecnica riuscire a bonificare, ad avere acqua dolce in ambienti salmastri, ed a dissodare terreni mai lavorati.
Così Bettino Ricasoli fece arrivare da Londra al porto di Castiglione della Pescaia delle gigantesche e preistoriche macchine agricole a vapore, che per altro ebbero vita breve, dato che i suoi operai, terrorizzati all’idea di essere sostituiti dalle macchine, provvidero a guastarle; inutile dire che nessuno fu in grado di aggiustarle. Le più moderne tecniche di bonifica venivano attentamente studiate nei Paesi Bassi e riproposte in Maremma, e dagli Stati Uniti, in particolare dal Texas, arrivò un’invenzione semplice ma efficacissima per tirar su dai pozzi artesiani l’acqua dolce, indispensabile per abbeverare il bestiame ed irrigare le culture.
Su un traliccio alto circa 10 mt venivano poste pale con diametro di 6-7 mt, ad intercettare i venti che avrebbero azionato il semplice meccanismo per far risalire la preziosa acqua dolce dal terreno. La costa già era punteggiata di molini, ma poiché avevano pale fisse, per entrare in azione bisognava che ci fosse il vento giusto. L’intuizione di fabbricare pompe orientabili, le cui pale si muovevano con qualsiasi vento, fu di Raimondo Vivarelli, che creò nel 1872 una officina nel centro di Grosseto, in via Mazzini; fu grazie alle bonifiche ed a questi silenziosi giganti che le desolate pianure maremmane sono diventate salubri e verdi.
La prima pompa fu impiantata a Talamone, nei terreni di Jader Vivarelli, imprenditore a noi noto per il mausoleo che ancora spicca nel cimitero di Talamone, realizzato da un altro protagonista della Maremma di fine ‘800: l’architetto Lorenzo Porciatti, massimo interprete locale dell’eclettismo.
Jader Vivarelli fu un imprenditore moderno, aperto alle nuove tecnologie ed attento alle esigenze della Maremma: lo apprezziamo nella Relazione alla Commissione giudicatrice del concorso bandito dal Ministero dell’Agricoltura, del 30 settembre 1898: ”Il palude da me acquistato ha un’estensione di 116 ettari così ripartiti: 30 in concorso per colmata artificiale, 49 da prosciugarsi con apparecchi idrovori, 20 da bonificarsi per colmata naturale, per mezzo delle torbide del fosso del Collecchio; 17 da lasciarsi, per ora, a palude. [….] Sulle prime esitai nella scelta dell’apparecchio e del motore da adottare: se a turbina o a pompa, se mossa a vapore o dal vento. Tenuto conto dell’ubicazione del padule verso il mare, ove le correnti aeree, da mare verso terra o viceversa, mancano difficilmente, ed essendo a me noti gli splendidi risultati ottenuti nelle grandiose bonifiche olandesi, mentre, che io sappia, in nessun’altra parte d’Italia erano stati applicati a questo scopo i “motori a vento”, volli sperimentarli nel mio palude, in considerazione specialmente della maggiore economia dell’impianto e dell’esercizio che essi presentano in confronto coi motori a vapore. Ciò stabilito mi diedi a raccogliere i relativi elementi idrometrici per determinare la portata della pompa a vento, ed in pari tempo non mancai di prendere tutte le precauzioni per impedire che le acque estranee, oltre quelle di pioggia, invadessero la parte del padule da assoggettarsi all’azione della pompa…”.
Iniziò così l’epoca delle pompe Vivarelli, che hanno caratterizzato per un lungo periodo il paesaggio Maremmano e poi italiano, per proseguire la loro benefica invasione in Africa: Libia, Egitto, Eritrea e Somalia, dove l’acquedotto di Mogadiscio era da esse azionato.
L’officina di Raimondo Vivarelli crebbe fino ad avere 150 dipendenti, fu poi guidata dai suoi figli ed infine dal nipote che portava il suo stesso nome, ingegnere e docente all’Università La Sapienza. Due tecnici, Tozzi e Bardi, che avevano lavorato presso l’officina acquistarono la ditta e portarono avanti la produzione fino al 2007: le pale eoliche che avevano dato prosperità alla Maremma sono state superate dalla tecnologia moderna. Molti anni sono passati e moltissimo è cambiata la Maremma; tuttavia guardando la nostra campagna spesso vediamo le pompe ancora in piedi, orgogliose protagoniste della nostra storia.