a cura di Piero Simonetti
GROSSETO – Verrebbe da pensare che gli estensori delle norme statutarie del castello di Gavorrano, siano stati veramente padri accorti ed attenti economisti dei bilanci familiari del loro popolo.
Nella seconda distinzione degli Statuti del XV secolo, la “De jure reddendo”, nel capitolo che elenca le varie pene comminate ai violatori delle Leggi, ne esiste una assai curiosa per i nostri tempi, ma evidentemente fondamentale per l’epoca a cui si riferiva. Si tratta della multa per chi non faceva l’orto.
Recita infatti il capo LXV: “ Ciascun capo di famiglia del castello di Gavorrano è tenuto e deve, ogni anno nel mese di ottobre, fare orto abbastanza per la sua famiglia. Pena di soldi dieci per chi contrafacesse. Inoltre, sotto pena di altri soldi cinque, deve ogni anno nel mese di aprile, porre 25 capi d’aglio ed una capezza di cipollini”.
Agli e cipolle, dalle indiscusse proprietà antibatteriche e decongestionanti; ma anche alimenti di facile e lunga conservazione.
Lattughe, rape, patate, cavoli, zucche, legumi, carote… Una dieta vegetariana oggi spesso consigliata alla nostra generazione. Un’alimentazione invece obbligata dalla povertà per chi ha vissuto quei tempi del medioevo, raramente interrotta da poca carne di maiale conservata sotto sale.