ALBERESE – Nato 4 anni fa in Corsica, trasportato in Toscana con un elicottero, allevato e reintrodotto nel Parco della Maremma, infine avvistato nei giorni scorsi, a 500 chilometri di distanza, nella riserva naturale Palude Brabbia, sul lago di Varese. È il percorso compiuto da un esemplare di falco pescatore, specie ridotta a pochissime unità, praticamente estinta come nidificante in Italia fino alla primavera del 2011. Solo allora, dopo 42 anni, una coppia di questo splendido rapace depose le uova e riuscì di nuovo a riprodursi nel parco della Maremma. Il progetto di reintroduzione della specie, voluto ad ogni costo dall’ex presidente del Parco Giampiero Sammuri, ha dato negli anni gioie e dolori. Dalla nascita dei piccoli – Gradelle e Maremma il loro nome – alla morte, nell’Africa sub-sahariana, in Gambia per l’esattezza, del falchetto Gradelle
Il dottor Andrea Sforzi, responsabile scientifico del progetto, grazie alla rete di contatti stabilita negli ultimi anni, ha sempre continuato a scambiare informazioni con esperti a livello nazionale e internazionale. Obiettivo: capire i movimenti dei falchi, le rotte di migrazione, la tendenza a tornare nella “patria” di origine. Da un paio d’anni è partito anche uno studio, coordinato dal Parco regionale della Maremma e dal Parco regionale della Corsica, in collaborazione con le Università di Ferrara e di Montpellier (nell’ambito del dottorato di ricerca di Flavio Monti) per indagare sui movimenti del falco pescatore nel Mediterraneo. Una delle teorie più accreditate fino ad oggi ipotizzava che gli spostamenti degli individui di questa specie fossero limitati ai principali siti di nidificazione (Corsica, Baleari, Marocco, Algeria), con movimenti relativamente limitati.
«Abbiamo sempre atteso e sperato che arrivassero segnalazioni e notizie sui falchi maremmani, quelli nati qui e quelli adottati – commenta il dottor Andrea Sforzi – tutti hanno un anello fissato sulle zampe. L’avvistamento, realizzato dallo staff della Lipu, asssociazione che gestisce la riserva naturale Palude Brabbia, è proseguito per alcuni giorni consecutivi durante i quali il rapace si è alimentato e riposato nell’area umida, prima di riprendere il viaggio migratorio e far perdere di nuovo le proprie tracce».
Dell’animale è stato letto l’anello in Pvc che porta nella zampa. Si è così risalito facilmente alle sue origini: ossia il Parco della Maremma e il progetto di reintroduzione della specie avviato dieci anni fa. «La notizia – spiegano ancora dal Parco della Maremma – ha un duplice valore: da un lato riconosce la palude Brabbia come un’area fondamentale di ristoro per gli uccelli migratori, e conferma l’importanza del progetto Life TIB, che proprio nella Brabbia trova un’area di connessione ecologica importante che collega le Alpi con la pianura e gli Appennini; dall’altro la buona salute dei pochi esemplari che ancora volano nel bascino del Meditrerraneo».