GROSSETO – La crisi dei consumi colpisce anche il mercato degli agnelli in Toscana che fa registrare un -15% rispetto allo stesso momento dell’anno scorso. Un mercato che vive nel periodo pasquale il momento migliore e fa respirare un po’ gli allevatori toscani che, oltre alla crisi, devono fare i conti con le campagne mediatiche di associazioni animaliste che invitano a non acquistare gli agnelli: «E’ l’ora di finirla con queste invenzioni che ogni anno invitano i consumatori a non mangiare carne di agnello, per chissà quale scopo che solo in apparenza è ideologico – commenta il presidente di Cia Grosseto Enrico Rabazzi –. Si gioca sulla pelle e sull’economia di migliaia di aziende zootecniche italiane e toscane che sono già alle prese con una crisi di mercato e di consumi che dura da ormai troppi anni. Nel periodo della Pasqua i nostri allevatori vendono circa il 20-25% dei capi dell’intera produzione annuale, riuscendo a strappare prezzi migliori di 1 euro al kg rispetto al resto dell’anno. E c’è chi tutto questo fa finta di non ricordarlo e specula sul futuro degli agricoltori».
Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente di Confagricoltura Grosseto e presidente della federazione regionale di prodotto sezione Ovicaprini, nonché membro di quella nazionale, Antonfrancesco Vivarelli Colonna: «Da anni il comparto sopporta l’attacco da parte della nutritissima famiglia delle oltre sessanta tra associazioni ed enti animalisti, nate sul territorio nazionale che sembrerebbero richiamare l’attenzione, più per ricordare a tutti la loro esistenza, che nel cercare di “convertire” il consumatore. Sostengo che solo con la promozione e la valorizzazione del prodotto nazionale si riuscirà a assicurare il mantenimento delle economie e dei territori agropastorali, di quelle aree come ad esempio l’Appennino, l’Agro romano e la Maremma, ma soprattutto a garantire una più diffusa presenza sul mercato di prodotti certi e riconoscibili che porterà a una fisiologica riduzione degli abusi commessi in larga parte da pochi maldestri commercianti che sono costretti ad arrivare fino in Ungheria per potersi assicurare il prezzo più vantaggioso, per un prodotto che non sempre è il più soddisfacente».