GROSSETO – È stata dedicata ai cento anni dalla nascita di don Milani l’annuale edizione della Festa della Toscana, festeggiata questa mattina a palazzo comunale alla presenza del sindaco Antonfrancesco Vivarelli Colonna, del presidente del Consiglio comunale Fausto Turbanti, della Giunta, dei consiglieri e delle massime autorità cittadine.
La celebrazione, quest’anno dal titolo “I care, la Toscana dei valori umani e della lotta alle disuguaglianze a 100 anni dalla nascita di Don Milani”, ricorda ancora una volta la data del 30 novembre del 1786 quando, per volontà del granduca Pietro Leopoldo, furono abolite la pena di morte e la tortura in Toscana.
“Il Comune di Grosseto abbraccia il tema scelto quest’anno – commenta il presidente del Consiglio comunale Fausto Turbanti, in rappresentanza dell’intera Amministrazione –, per non dimenticare gli insegnamenti di un uomo che ha lasciato un segno tangibile nel nostro paese e trasmetterli ai nostri giovani. Non dimentichiamo il suo impegno per i ragazzi attraverso l’istruzione, strumento fondamentale di civiltà per la formazione di ogni individuo. È per questo che la nostra Amministrazione sta lavorando a un progetto che coinvolgerà le scuole della città e che presto presenteremo”.
Ospite d’eccezione è stato il professore e poeta David La Mantia, docente e autore di grande esperienza e spessore, che ha preso parte alla celebrazione per una lectio magistralis, durante la quale sono stati approfonditi i valori espressi da don Milani, con particolare attenzione alla sintonia con quelli della nostra terra. La Mantia si è soffermato sul messaggio diffuso dal sacerdote, soprattutto all’interno del contesto scolastico.
“Se si perdono i ragazzi più difficili la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati -. È con queste parole, pronunciate dal maestro, che David La Mantia si è fatto portavoce del suo messaggio -. Don Milani credeva che anche i più deboli potessero e dovessero avere un ruolo all’interno della società. Chi è più bravo ha il dovere di aiutare il più debole, per creare un gruppo coeso. Queste azioni di sussidiarietà e di assistenza sono l’eredità che il sacerdote ci ha lasciato e che oggi, a 56 anni dalla sua morte, abbiamo il dovere di proteggere”.