BAGNO DI GAVORRANO – Non è facile ricordare e tratteggiare la figura di Arnaldo in presenza di questa platea che lo ha conosciuto, apprezzato e sostenuto nei suoi programmi il rischio è di essere ripresi per inesattezze o dimenticanze.
Arnaldo, nel ricordo e nella memoria di Mauro Giusti, che ne fu allievo e sincero compagno d’azione, che mi ha aiutato in questa ricostruzione biografica nasce nel piccolo borgo di Tatti (Massa Marittima) in una famiglia operaia, l’11 ottobre 1928 morì l’ 11 Agosto 2001 all’età di 73 anni.
Sin da giovanissimo iniziò la sua attività politica presso la sezione del PCI miniera di Filare. Minatore alla miniera di Gavorrano da dove fu licenziato nel 1954. Anni duri gli anni cinquanta nelle miniere della Montecatini, tante e troppe erano le discriminazioni messe in atto dalla direzione a Gavorrano (come nelle altre miniere), essere iscritti al sindacato o solo attivisti sindacali significava andare incontro a soprusi di ogni genere, rischiare il proprio posto di lavoro, essere sistematicamente esclusi dall’assegnazione delle case e delle altre provvidenze come prestiti, permessi, la befana ai figli.
Un ennesimo grave arbitrio da parte della Montecatini fu compiuto il 30 Marzo del 1954 nei confronti di Arnaldo Senesi dipendente della miniera che fu licenziato in tronco con la motivazione “insubordinazione ai superiori accompagnata da atti delittuosi”.
La verità, come è stata documentata, è che il Senesi fu ripetutamente provocato da un sorvegliante, già noto a tutti i lavoratori per la sua attività di provocatore nei confronti degli operai più battaglieri. Il sorvegliante, infatti, lo aveva apostrofato con male parole offendendo il Senesi, il quale energicamente aveva risposto alle offese. Il Senesi, questa è la realtà, “venne licenziato perché dirigente sindacale combattivo e attivo“.
L’arbitrio preso nei confronti del Senesi suscitò l’immediata reazione dei lavoratori che si rifiutarono di entrare in miniera e si recarono sotto la palazzina della direzione chiedendo che della vicenda ne venisse investita la commissione interna.
Al rifiuto della direzione fu dichiarato lo sciopero di 24 ore. Questa vicenda fece crescere nel paese un clima di forte tensione. Intervenne lo stesso sindaco Mario Garbati, anche lui indimenticabile sindaco, che promosse una riunione di tutte le organizzazioni e le forze politiche di Gavorrano. Il Senesi lasciò il suo posto di lavoro in miniera e proseguirà la sua attività prima come dirigente del PCI, successivamente come amministratore comunale sino a ricoprire la carica di sindaco del comune di Gavorrano per il periodo dal 1964 al 1980.
Saprà amministrare con saggezza, lungimiranza e autorità, il paese con lui crescerà sino a diventare un punto di riferimento, sia amministrativo che politico, in tutto il territorio delle Colline Metallifere. Sarà lui il 18 dicembre del 1967 a ricevere il presidente della Repubblica Italiana, Giuseppe Saragat, il primo presidente che visitò la provincia di Grosseto.
I minatori quel giorno si erano raccolti nell’ampio salone dei Bagnetti alla miniera, e qui Arnaldo con vigore, senza reticenze ma con forza e determinazione spiegò al presidente il perché delle continue sollecitazioni fatte dalle Istituzioni e dalle forze politiche al Governo e alla Montecatini perché fosse costruito nella piana di Scarlino (1 dicembre 1962) uno stabilimento per la trasformazione in loco della pirite.
Arnaldo senza alcuna timidezza disse rivolto al Capo dello Stato: «Abbiamo bisogno di ulteriori investimenti nella zona, bisogna pensare ai figli, alle famiglie e occorre che le famiglie rimangano su questa terra. Scavare pirite vuol dire produrre ricchezza, ma cosa giova a questa gente se la ricchezza in mille forme e attraverso mille rivoli finisce altrove? Ecco, lo stabilimento del Casone è il primo esempio di cosa voglia dire produrre e trasformare il prodotto in loco, per far si che la forza di tanto lavoro diventi anche ricchezza di Gavorrano, di Scarlino, di Follonica e di Grosseto. Ma è solo un esempio. Bisogna continuare su questa strada».
Una figura la sua che emerge nelle rievocazioni per il carattere indomito e per quella sua intelligenza accompagnata da una grande umanità che sapeva parlare al cuore della gente: Arnaldo aveva quella capacità che soltanto i leader del popolo posseggono: fare riferimento e coinvolgere non solo il partito o i partiti ma la gente.
Nei suoi anni di sindacatura cercò con la sua giunta, coinvolgendo quando era possibile anche le opposizioni, di dotare Gavorrano delle infrastrutture necessarie con investimenti pubblici. Molte le opere pubbliche portate a termine ed altre lasciate in eredità al suo successore Mauro Andreini. La sua era un’idea del paese che guardava avanti che poneva al centro l’uomo e la sua qualità della vita, il suo modello era un paese bello e attrattivo per i suoi cittadini, un paese che si realizzava con le sue bellezze naturali, mantenendo la sua cultura di appartenenza.
Questa era la visione che Arnaldo aveva di Gavorrano: attingere al passato, operare sul presente per costruire il futuro. Da sindaco, Arnaldo seppe guidare questa trasformazione, con intelligenza, capacità di intuizione, senza lasciarsi trascinare da interessi di parte ma guardando al richiamo dell’utilità collettiva. Uomo che sapeva prendersi le responsabilità, a volte spigoloso e burbero, ma che sapeva decidere anche in contrasto con opinioni contrarie, pronto alle polemiche e alle battaglie nella lealtà.
Terminato il periodo da sindaco divenne vice presidente dell’Intercomunale, consigliere della Coop Toscana Lazio, vice presidente dell’Unione sportiva Gavorrano. Il suo impegno è sempre stato dalle file del Partito Comunista, come dirigente della sezione di Bagno. Forte sostenitore della costruzione della casa del popolo.
Una bellissima realizzazione, una stagione che ha fatto conoscere il piccolo paese di Bagno, dandole notorietà, in tutta Italia. Arnaldo ne fu il capofila e il primo presidente. E oggi assieme a lui vogliamo ricordare quanti gli furono a fianco. Arnaldo assieme ai tanti compagni e cittadini con cui condivise gli ideali furono i veri fautori della casa del popolo e che oggi come cinquant’anni fa, assieme alle nuove generazioni, la ricordano con orgoglio e la celebrano. Ai più giovani queste giornate di festa vogliono raccontare la storia di queste mura, ma soprattutto che un rilancio di rigenerazione è in atto in questo luogo simbolico, ricco di storie, di generosità, di passioni civili.
La sua storia ha fatto scattare la voglia di agire concretamente e di rimboccarsi le maniche, per fare in modo che questi spazi tornino ad essere pienamente usufruibili e disponibili per associazioni, famiglie, ragazzi, donne, bambini.
Un luogo nel quale possano incontrarsi volontariato sociale e culturale per dare risposta ai nuovi bisogni di inclusione, di promozione di cittadinanza attiva, di benessere e coesione sociale della nostra comunità.
Un obiettivo, come sottolineano questi giorni di festa, che dia alla comunità un grande progetto culturale e sociale da costruire insieme attraverso un percorso partecipativo, quindi inclusivo e condiviso. Una ripresa della Casa del Popolo, in questi anni di grave crisi economica e di esasperato liberismo è possibile, deve coinvolgere tutti, a partire dalla promozione culturale, ma soprattutto sulla capacità di rendere, come nel passato, gli spazi della Casa del Popolo aperti a tutti, per farle assumere il ruolo di promozione alla vita politica e sociale creando così un argine alla disgregazione, ricreando un senso di comunità e solidarietà tanto da riscoprire quell’antica vocazione propria delle case del popolo. Noi dobbiamo solo dire grazie a chi con spirito di dedizione e sacrificio ha organizzato questi Giorni di festa, di approfondimento che vogliono ricordare quel settembre di 50 anni fa richiamare alla memoria i suoi artefici, giorni dai quali molti si attendono la magia che fra memoria e nostalgia, fra ricordi e rimpianti si ritrovi unità d’azione e d’intenti.