GROSSETO – I numeri sono storie. Storie di madri, sorelle, amiche, mai a lieto fine perché quando non lasciano cicatrici indelebili nel corpo, le lasciano nell’anima. Sono storie raccontate sempre tardi quelle delle donne che subiscono violenza. Come quella di Giulia (nome di fantasia) che oggi, dopo aver curato i lividi di un amore tossico ha potuto riprendere in mano la sua vita. Il percorso è stato lungo, convinta che quell’uomo la amasse veramente e, nonostante le violenze, non riusciva ad allontanarlo. Poi un giorno ha capito che poteva rischiare tanto. L’accesso al pronto soccorso, la valutazione, la presa in carico dei servizi. Più tardi è arrivata la consapevolezza che no, non poteva essere la normalità. Sono passati anni da quella fantomatica caduta dalle scale. Oggi Giulia sorride ad un nuovo amore.
Nel primo semestre del 2022, nel territorio della Asl Toscana sud est, sono stati attenzionati 8 casi di abusi, 183 casi di maltrattamenti su donne e 51 casi di maltrattamenti su minori. Gli accessi al pronto soccorso risultano in aumento rispetto allo stesso periodo del 2021. Dati allarmanti, rilevati grazie alla preziosa collaborazione di enti e istituzioni territoriali, tra cui associazioni e Centri antiviolenza.
“La rete del codice rosa, ormai solida istituzione regionale è in continua evoluzione- commenta la dottoressa Vittoria Doretti, coordinatrice regionale della rete – in Toscana stiamo lavorando affinché diventi sempre più dinamica e forte nei collegamenti interaziendali e interistituzionali con l’intento di creare linguaggi e procedure sempre più condivisi con procura, forze dell’ordine, centri antiviolenza e con tutte le realtà del territorio. Gli eventi che si sviluppano intorno al giorno del 25 novembre sono motivo di confronto importante per capire l’evoluzione e l’innovazione di un modello nell’ottica di una crescita culturale”.
“Il fenomeno nelle province della sud est è equamente diffuso – commenta la dottoressa Alessandra Pifferi della rete codice rosa della Asl Tse – così come del resto le statistiche nazionali e internazionali ci confermano. Rimane purtroppo una parte di sommerso importante, ed su questo che si deve concentrare lo sforzo di operatrici ed operatori. che attraverso la formazione si rendono grado di riconoscere segni e sintomi che possono far pensare ad una violenza non soltanto fisica (ferite, ematomi, fratture etc) ma anche psicologica, quale la frequenza per trauma degli accessi in pronto soccorso, la discrepanza tra il racconto anamnestico e le lesioni presenti, l’atteggiamento, la postura, la presenza di un accompagnatore che minimizza la situazione e si sostituisce alla donna nel raccontare l’accaduto”.
L’accesso al pronto soccorso: cura, riservatezza e consenso
Una volta che la donna accede al pronto soccorso e viene condivisa la violenza subita le verrà garantita la massima privacy accompagnandola in un locale chiamato stanza rosa dove viene visitata, curata e dove può essere raggiunta dalle forze dell’ordine nel caso voglia denunciare.
“Tutta la procedura preceduta dall’acquisizione del consenso informato-spiega la dott.ssa Chiara Marchetti Coordinatore Codice Rosa Rete Ospedaliera e Territoriale 118.Asl Tse – Il percorso può essere interrotto in qualsiasi momento, la vittima sceglie cosa fare o non fare, cosa dire o non dire, se denunciare o meno.
La valutazione del rischio, dopo la dimissione. Il servizio sanitario non ti abbandona.
Al termine del percorso ospedaliero viene rilevato il rischio di revittimizzazione, ovvero il pericolo che la donna corre in termini di escalation della violenza fino alla possibilità di conseguenze estreme, nel tornare presso la propria abitazione, attraverso degli indicatori e delle schede di rilevazione. Quando il rischio risulta alto- continua la dott.ssa Marchetti- proponiamo alla donna un allontanamento dall’ambiente domestico. Se accetta, sempre secondo procedure in essere, vengono contattati i servizi sociali e/o i Centri Antiviolenza che prendono in carico la donna ed eventuali figlie e figli minori per concordare l’allontanamento ed intraprendere il percorso di fuoriuscita dalla situazione di violenza.
I servizi sociali, valutano, orientano e indirizzano, la vittima come parte attiva del processo di cambiamento
Le assistenti sociali della Asl Intervengono subito dopo il momento delle cure erogate nelle strutture sanitarie per garantire la presa in carico territoriale mediante l’attivazione di percorsi rispondenti alle esigenze di tutela e di protezione immediata delle vittime.
“La forza del modello del Codice Rosa- spiega la dottoressa Elisa Fattori, coordinatrice territoriale della rete codice rosa Asl Tse – sta nel continuum assistenziale per una presa in carico globale nell’ottica della continuità ospedale-territorio. E’ prevista l’attivazione di un Team Multidisciplinare costituito in ogni Zona Distretto, composto dall’assistente sociale, che lo coordina, dallo psicologo e dai professionisti dei servizi sanitari e sociali impegnati nella presa in carico e risposta alle vittime di violenza”.
“Il Team opera in stretto contatto e sinergia con enti, CAV, associazioni del privato accreditato coinvolte nei percorsi di sostegno e protezione nello specifico ambito territoriale; assicura la rapida valutazione del rischio di recidiva della violenza a seguito dell’accesso in emergenza ed identifica le eventuali criticità relative alla disponibilità di risposte appropriate”.
“L’assistente sociale aiuta quindi la vittima sul piano razionale, emotivo e psico-sociale, mediante l’ascolto, l’assenza di giudizio, l’accettazione e il rispetto della persona e delle sue scelte, e l’accompagna nel percorso di riconoscimento e uscita dalla violenza; importante è la chiarezza e la condivisione di ciò che si sta facendo; qualsiasi progetto deve essere sempre condiviso con la vittima perché è essa stessa parte attiva del processo del cambiamento”, conclude Fattori.