Il 28 ottobre 2022 è ricorso un tristissimo anniversario, che si riverbera fino ai nostri giorni, quello dell’anniversario della marcia su Roma, una mascherata che, complice la monarchia e i partiti liberali, segnò l’inizio della dittatura fascista. Il regime si affermava sui venti della guerra mondiale e finiva in una nuova guerra ancora più sanguinosa. Allora in questa nuova domenica di guerra volevo parlare di questo libro.
EMILIO LUSSU
“MARCIA SU ROMA E DINTORNI”
EINAUDI, TORINO, (1933, 1945) 2014
Il libro si presenta nel suo registro ironico e sarcastico fin dal titolo: si parla di un avvenimento storico drammatico, ma se ne delineano dei contorni incerti (“dintorni”). Storicamente sappiamo che questa “carnevalata”, che ha regalato agli italiani vent’anni di dittatura fascista, non rispondeva ad un piano preciso, non solo perché i progetti di conquista violenta del potere statale hanno sempre grandi margini di incertezza, ma soprattutto perché neppure gli ideatori (Mussolini in testa) non erano sicuri di che pesci prendere. Infatti il “duce” da Napoli, dove pochi giorni prima il congresso fascista lanciò la marcia su Roma, transitò da Roma in treno e si asserragliò nella sede di Milano del “Popolo d’Italia”, il giornale coperto di debiti di cui era direttore, mentre le squadre fasciste scesero verso Roma, guidati da un quadrunvirato di stanza a Perugia. Queste truppe male organizzate e poco armate rimasero alcuni giorni sotto l’acqua in attesa di ordini e rishiarono di ammutinarsi perché erano zuppe e affamate. Dunque un’accozzaglia che poteva essere agevolmente fermata da qualche battaglione dell’esercito, che non si mosse. Il debole governo Facta non riuscì a far firmare al re “Sciaboletta” lo stato d’assedio, che avrebbe permesso l’uso dell’esercito. Ciò significa che il fascismo prese il potere senza colpo ferire perché godeva dell’appoggio della monarchia e dell’esercito. Mussolini si presentò alla camera da presidente del consiglio incaricato dal re accompagnato dal generale Diaz, comandante in capo dell’esercito, e dall’ammiraglio Thaon de Ravel, comandante della Marina. Oggi si direbbe sostenuto dai “poteri forti”, a cui si aggiungevano in tutti gli anni della sua ascesa l’appoggio degli agrari e degli industriali, spaventati dal biennio rosso (1919-2020). L’immagine della marcia su Roma è stata agitata più volte da un altro preteso “duce” (che si fa chiamare “il comandante”), coprendosi di ridicolo scimmiottesco, come nella sua richiesta di “pieni poteri”, in mutande tra i fumi dell’alcol.
Emilio Lussu, valoroso combattente della Prima Guerra Mondiale come ufficiale della Brigata Sassari, racconta la storia in ventidue brevi capitoli che coprono un periodo di tempo che va dall’armistizio del 1918 fino all’audace fuga del 1929 dall’isola di Lipari, dove era stato confinato dal regime. Lussu è noto, soprattutto nelle scuole, per il libro sulla Grande Guerra, “Un anno sull’altipiano”, una potente allegoria moderna sull’inferno meccanizzato delle trincee, intrise di cognac. Anche “Marcia su Roma e dintorni” andrebbe studiato attentamente a scuola per evitare perchè “ciò che è accaduto, può ritornare” per citare un altro grande testimone del tempo, Primo Levi, con cui lo ha paragonato Marco Belpoliti nel suo pezzo su questo libro nel blog “Doppio Zero” di 25.2.2019. Il libro non è propriamente un saggio di storia. L’autore lo scrive esplicitamente fin dalla “Prefazione”: “non pretendo di scrivere la storia del fascismo”. Egli si pone come testimone, in larga misura oculare: “io narro solo alcuni episodi legati alla mia vita”, soprattutto nella Sardegna natale e a Roma, dove era deputato al Parlamento. Il libro esce prima in francese e in inglese, rivolto soprattutto al pubblico straniero per spiegare cosa fosse il fascismo, fenomeno politico appena inventato in Italia. Viene pubblicato in italiano a Parigi nel 1933 e nella stessa stesura nel 1944 nell’Italia appena liberata, senza la revisione che l’autore riteneva necessaria. Scrive nella “Prefazione”: “poiché questo libro può suscitare critiche in campo italiano, io mi sono preoccupato di non inserirvi un solo episodio, che non possa essere documentato”. Quindi siamo nel genere della memorialistica, ibridato con la narrazione storica ed autobiografica. Il lettore è chiamato a rivivere con Lussu gli episodi salienti di cui è testimone diretto e l’autore rievoca i fatti storici assodati, che non ha vissuto direttamente. Le forme ibride sono in genere allegoriche, con un registro realistico segnato dall’ironia e dal sarcasmo fin da Dante, esempio ben noto a Lussu, che veniva dagli studi classici.
Ciò che Lussu ricorda con grande ironia sono gli episodi di trasformismo, fenomeno politico molto diffuso in tutte le democrazie, ma in particolare in Italia negli ultimi 120 anni. Amici e compagni del fronte antifascista vengono presentati nelle loro attestazioni di opposizione all’ultimo sangue, che poi icasticamente in maniera improvvisa si convertono al fascismo. Lussu li cita per nome e cognome, affinché la storia non dimentichi questi voltagabbana, che permisero l’affermazione del fascismo. E’ l’esempio dell’on. Pietro Lissia. “Se il lettore chiude gli occhi un istante …, riaprendoli, vedrà l’on. Aragona e l’on. Cao, inseriti nel fascismo … queste conversioni … sono state tutt’altro che rare in tutt’Italia e han preso il nome di ‘crisi di coscienza’” .
Altra analisi impietosa è dedicata alla mancata occasione per mettere fine precocemente all’esperienza del governo Mussolini, durante la crisi seguita al delitto Matteotti. Stiamo parlando dell’”Aventino”. “Se cinquecento antifascisti avessero assaliti i ministeri, tutta la città li avrebbe sostenuti, e Mussolini avrebbe perduto il potere con la stessa rapidità con cui l’aveva conquistato … Ma l’insurrezione era un problema estraneo alla psicologia e alla mentalità dell’antifascismo dirigente”. L’Aventino aspettava le dimissioni di Mussolini e l’intervento del re per mettere fine al governo, cosa che ovviamente non avvenne. Mussolini in un famigerato discorso alla camera si assume “la responsabilità morale, politica e storica” dell’assassinio di Matteotti e l’opposizione si squaglia. La scena della delegazione degli ex-combattenti, che chiede al re il ripristino delle libertà previste dallo Statuto, è esilarante nella sua tragicità. “Il re ascolta, pallido in volto, tutto il discorso. Poi dice, col tetro sorriso di un spettro: ‘Mia figlia, stamattina ha ucciso due quaglie’. La delegazione allibisce. Uno si confonde e, sudando freddo, lentamente, tremante, risponde con lo stesso sorriso: ‘A me piacciono assai le quaglie fritte con piselli”. Questa tragedia tutta italiana si conclude in farsa. Il commento di Lusso è caustico: “Che vale contrastare il terreno al nemico invincibile? E’ più saggio gittare le armi e fare addirittura con esso causa comune”.
Giustamente Belpoliti conclude il suo articolo così: “il libro racconta la resistenza attiva a un movimento politico che era resistibile e poteva anche non vincere, risparmiandoci lutti e disgrazie collettive da cui abbiamo faticato a sollevarci e da cui non ci siamo ancora distanziati una volta per tutte, come mostra il risorgente fascismo del lungo dopoguerra. Bisogna fare tutto il possibile sempre. Oggi più che mai”. Chi ha orecchie per intendere intenda.