CAPALBIO – È stato scoperto dalla Guardia di Finanza un circolo che in realtà era un vero e proprio ristorante che sfornava manicaretti e piatti tipici maremmani senza dichiarare nulla al fisco, evadendo 120mila euro di ricavi in nero e 30mila euro di Iva.
I fatti sono venuti alla luce nell’ambito dei servizi coordinati dal Comando Provinciale di Grosseto finalizzati ad individuare i casi più consistenti di evasione e inosservanza delle regole poste a base della leale concorrenza. I finanzieri hanno infatti portato a termine un’articolata attività ispettiva nei confronti di un sedicente “Circolo”, in realtà dimostratosi una vera e propria attività commerciale: un ristorante.
Nel dettaglio le Fiamme Gialle hanno effettuato una complessa indagine di polizia economico-finanziaria, anche con sviluppo di accertamenti bancari e, al momento dell’accesso presso l’attività, l’individuazione degli avventori presenti: tutti o privi di alcun titolo “associativo”, ovvero in procinto di compilare una semplice scheda informativa per ottenere sul momento il simbolico rilascio di una tessera (come se solo questo adempimento servisse a qualificare l’attività come “circolo” e i clienti come “soci”).
I clienti individuati hanno ammesso di non aver mai in realtà rivestito questo ruolo e di non aver partecipato all’attività associativa come invece prevedono le norme. In concreto, in quanto meri avventori hanno fruito del servizio di ristorazione offerto dall’attività, che proponeva piatti tipici maremmani con conseguente pagamento del dovuto e senza nessun altro tipo di contatto o effettiva partecipazione alla sedicente “associazione”. Del resto, i titolari del “finto circolo” non hanno neanche fornito alcun supporto documentale che testimoniasse l’attività “socio-culturale” e la partecipazione di associati.
L’analisi dei flussi finanziari nei confronti del “vero ristorante” e dei titolari/responsabili, ha fatto emergere come nel corso degli ultimi anni (sia prima che durante le ultime estati nel periodo covid) siano stati omessi ricavi “in nero” per 120.000 euro, con violazioni Iva per altri 30.000. L’esercizio lavorava esclusivamente durante il periodo estivo e solo per cena.
Dal complesso degli accertamenti svolti è quindi emerso come il “finto circolo” non abbia rispettato i requisiti previsti, perdendo la qualificazione di ente associativo (ed i relativi benefici fiscali) e inquadrandosi piuttosto quale vera e proprio società/impresa, con tutti gli obblighi contabili conseguenti. In sostanza è stato fatto un uso distorto dello strumento associazionistico al solo fine di eludere il fisco e fare concorrenza sleale alle analoghe attività imprenditoriali che rispettano le norme. L’ente è stato pertanto riqualificato in soggetto esercente “di fatto” un’attività d’impresa, con conseguente rideterminazione della base imponibile ai fini Ires, Irao ed Iva. Il sedicente “circolo” è risultato carente dei requisiti necessari per usufruire del regime fiscale agevolativo previsto dalla legge n. 398/91, in particolare l’assenza di democraticità/reale partecipazione della compagine sociale, attesa la sostanziale esclusione di associati dalla vita associativa e dalla partecipazione alla volontà collettiva dell’ente.
In questo particolare periodo, ancora peraltro connotato da problematiche socio-economiche, la Guardia di Finanza con simili servizi ha come principale obiettivo la tutela dell’economia legale, della leale concorrenza e dei consumatori, contrastando i fenomeni di illegalità economico-finanziaria maggiormente lesivi ed insidiosi, nonché proponendosi quale punto di riferimento in ordine alle iniziative volte alla tutela del sistema economico.
L’attività operativa, come nel caso di specie, è orientata in modo mirato su soggetti caratterizzati da elevati/concreti profili di rischi e sugli illeciti tributari che più danneggiano gli interessi erariali e le regole della concorrenza e del mercato. In particolare, nel contesto del generale comparto delle “associazioni” si riscontra che alcuni pseudo circoli/enti no profit abusino della qualifica giuridica, dissimulando in realtà l’esercizio di attività d’impresa, al solo scopo di eludere l’ordinario regime di tassazione previsto, danneggiando in primis proprio i veri enti associativi meritevoli di rispetto e tutela, nonché l’imprenditoria sana.