CHRISTA WOLF
“CASSANDRA”
EDIZIONI E/O, ROMA, (1983) 2021, pp. 143
In questo tempo di guerra mi è tornato buono un libro, che narra della guerra più antica, quella di Troia, da un punto di vista del tutto di parte. La storia si snoda in un unico arco narrativo, che non conosce pause dall’inizio alla fine in un flusso unico di ricordi, che ricalca lo stile modernista del flusso di coscienza.
Cassandra, la veggente figlia di Priamo, re di Troia, sacerdotessa di Apollo, è giunta schiava alla porta dei leoni della rocca di Micene, trascinata come bottino di guerra dal vincitore Agamennone. Ella prevede che di lì a poco il suo padrone impotente morirà sotto la scure della moglie Clitennestra e poi sarà il suo turno. Ricorda all’indietro la propria vita e la storia della guerra che ha contrapposto greci e troiani. Come tutti sanno la causa prossima della guerra è il possesso della bellissima Elena, rapita al legittimo marito Menelao, re di Sparta, dal giovane Paride, figlio della “terribile fertilità di Ecuba”.
In realtà Elena non è a Troia, “il re d’Egitto l’aveva tolta a Paride” nel viaggio di ritorno. I troiani hanno visto sbarcare solo una donna velata. Come al solito fin da allora la guerra si combatte per motivi economici, non certo d’onore. Lo rivela Priamo nel consiglio di guerra: “Quelli vogliono il nostro oro. E il libero accesso ai Dardanelli”, cioè la porta marittima per i commerci con l’Oriente.
Christa Wolf, una delle maggiori scrittrici del secondo Novecento in lingua tedesca, è una profonda conoscitrice di questa storia, di cui ha dato conto in un altro libro, “Premesse a Cassandra”, che raccoglie le quattro lezioni tenute nel 1982 all’università di Francoforte, come ci informa nella “Postfazione” la traduttrice, Anita Raja. La Wolf ha ripercorso in un viaggio le orme di Cassandra: “Sentivo Cassandra come una figura molto significativa per il nostro tempo. Durante un viaggio in Grecia ho visto Micene, ho vissuto con tutti i sensi il paesaggio che era stato di Cassandra”. La veggente non è protagonista del poema omerico: nell’“Iliade” è citata di scorcio solo poche volte, è passata alla storia come inascoltata profetessa di sciagure. Il riferimento classico della Wolf è una tragedia di Eschilo, l’“Agamennone”.
Nella prima parte Cassandra racconta come ha ottenuto da Apollo il dono della veggenza con la promessa dei propri favori, ma una volta ottenuto il dono si sottrae all’impegno. Nel libro è raccontato in forma di sogno: Apollo appare come “un lupo attorniato da topi che mi sputò furente nella bocca, quando non riuscì a sopraffarmi”. Simbolicamente il dio non potendo revocare il dono condanna Cassandra a non essere creduta (le sputa in bocca).
Questa è la versione mitica, ma il racconto ammette un’interpretazione analitica del sogno: come le dice Pantoo, il sacerdote greco di Apollo, passato ai troiani, “la tua scalogna, piccola Cassandra, è che sei la figlia prediletta di tuo padre” e per questo destinata al sacerdozio, ma questo amore per il padre, che riempie tutto il libro, è anche la sua condanna. Non solo le viene negata la possibilità di essere creduta, ma anche quella di poter godere della sua sessualità. Il suo amore per Enea, l’unico eroe troiano destinato a sopravvivere, votato per lei alla cerimonia della deflorazione rituale nel recinto del tempio, non riuscirà mai a portare a termine il compito. I due si ameranno, ma non riusciranno mai ad incontrarsi pienamente.
Il racconto ha un altissimo tasso polisemico con il sovrapporsi di piani, che cercherò di esprimere sinteticamente sacrificando sicuramente alcuni passaggi, come succede sempre nei percorsi interpretativi psicoanalitici e anche letterari, cosa che garantisce la continua capacità del testo di essere reinterpretato da altri punti di vista.
Enea è l’unico maschio del racconto capace di interloquire con la femminilità. È lui che porta le amazzoni a combattere a fianco di troiani ed è il figlio di Anchise, l’unico maschio capace di riso, di levità e di saggezza ammesso nel contesto della libera comunità di donne che si riuniscono nella caverne sulle rive del fiume Scamandro, presso le quali si rifugia Cassandra alla fine del racconto, dopo essere stata liberata dalla prigionia a cui viene condannata da Priamo, perché non è prona alla ragion di stato. Tale linea maschile è l’unica che può convivere con il mondo femminile, ma Enea non potrà congiungersi con Cassandra.
Tutti gli altri eroi omerici sono condannati, primo tra tutti il furente Achille, detto “la bestia”. Lascio il dettaglio dell’agnizione finale alla curiosità del lettore come al solito, ma Cassandra rifiuterà l’invito di Enea a seguirlo nella fuga, che lo porterà a costruire un’altra città, a diventare appunto un altro padre, un eroe maschile a tutti gli effetti. Su questo si gioca la lunga metafora della veggenza intesa come capacità tutta femminile di“vedere”, che non casualmente si contrappone alla “cecità del potere”.
Quando si incontrano gli sguardi di Cassandra e di Clitennestra, che si accinge ad uccidere Agamennone, cioè ad assumere una logica di potere tipicamente maschile, Cassandra commenta: “anche lei è colpita da quella cecità, che è connessa al potere”. La seconda parte della storia è dedicata alla descrizione dell’irrigidimento del poteri nel palazzo, militarmente occupato dagli uomini di Eumelo, il capo della guardia reale, che con il pretesto di garantire la sicurezza dei troiani, ne tradisce le libertà. Come non vedere in questo quanto è sotto i nostri occhi oggi: la nostra paura bellicista del nemico non produce altro che un’irrigidirsi del potere e una perdita di democrazia e di libertà.
La minaccia del nemico esterno rende obbligatorio restringere la libertà all’interno. È la ragione per cui prima o poi la dittatura sfocia nella guerra. Di tale processo la Wolf aveva esperienza diretta, essendosi formata nel socialismo reale della DDR, pur non avendo mai abbandonato il marxismo.
La Wolf rivendica un punto di vista alternativo al fondamento stesso del pensiero occidentale: “Per i greci c’è solo o verità o menzogna, giusto o sbagliato, vittoria o sconfitta, amico o nemico, vita o morte”. È il famoso “tertium non datur”: “ È l’altro che essi schiacciano tra le loro rigide distinzioni, il Terzo, che per loro è sempre escluso, la materia vivente che sorride, che è in grado di riprodursi continuamente da se stessa”, un punto di vista femminile che respinge la logica stessa della guerra. Qui la Wolf espunge la tradizione socratica e sofistica della filosofia greca che esorta sempre la dubbio.
È la stessa Wolf che si incarica di fornire il senso secondo della sua allegoria, che prende le mosse dallo stile antico per aprire un passaggio difficile di superamento delle contraddizioni del moderno, che ci porta all’attuale rischio di estinzione della specie: “Mi ha interessato cogliere il punto cruciale, alla nascita della nostra cultura, in cui è cominciata quell’alienazione che adesso ci porta vicini all’autodistruzione. Mi ha interessato il momento in cui, con l’avvento della società patriarcale e gerarchica, l’espressione letteraria femminile sparisce per millenni”.