CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – Quel giorno avevo deciso che affrontare da solo la macchia sarebbe stato meraviglioso. Non era importante dove andare ma era bella l’idea di andare.
Aprile il periodo del risveglio della natura, più o meno, e un sabato mattina di un giorno in cui non c’era la scuola, mi sembrò quello adatto per mettermi alla prova.
Nella macchia ci andavamo spesso noi ragazzetti ma mai soli. Non so se fosse la prudenza o la paura a farci ragionare, ma tant’è che le raccomandazioni dei genitori, almeno per la macchia, avevano sempre funzionato.
Scarpe al Tennis, blue jeans e maglietta di cotone a maniche lunghe con un golfetto di quelli fatti a mano, allacciato, tutto arrotolato in vita e partenza.
Decisi che potevo partire dal versante sopra la casa dei Mirolli; la zona la conoscevo bene per esserci andato molte volte a tendere le tagliole. Cominciai a salire nella macchia sempre più fitta senza che vi fossero sentieri da seguire.
Era bellissimo trovarsi così a contatto con la natura; odori sconosciuti e rumori mai sentiti, tra tutti il respiro un po’ affannato e il crepitio dei rami sotto il peso, si fa per dire perché ero magrissimo, del corpo.
Camminavo, camminavo senza rendermi ben conto di dove stessi andando. Era la luce del sole che mi tranquillizzava.
Poi ad un certo punto i rami cominciarono a nascondere sempre di più quel segnale e, in un attimo di lucidità, decisi che era venuto il momento di ritornare indietro per raccontare agli amici quell’avventura. Ma come si dice a volte si fanno i conti senza l’oste.
Sicuro di aver imboccato la via giusta cominciai a scendere. Tuttavia non ritrovavo segni del mio recente passaggio ma non me ne preoccupai.
Dopo un po’ però capii che qualcosa non andava per il verso giusto, perché dopo dieci quindici minuti di discesa avrei dovuto cominciare a rivedere il sole. Invece niente, anzi sempre più buio.
Cominciai a realizzare che forse avevo preso una strada diversa. Ripresi a salire con la paura che cominciava ad affiorare. Ma dove ero finito?
Cominciai a chiamare i nomi dei mei amici. Nessuno rispondeva anche perché sicuramente loro erano a giocare da qualche parte e non si chiedevano certo dove io fossi.
Il panico cominciò a farsi avanti e persi letteralmente la testa. Mi misi a piangere e a pregare che qualcuno mi aiutasse. Nessuno sapeva dove fossi e nessuno mi avrebbe cercato nella macchia. “Ora muoio qui da solo” immaginai.
Cominciai però a pensare che non potevo restare ancora fermo a non far niente. Presi il maglione e cominciai a sfarlo seminando la lana nei rami via via che camminavo per essere certo di non passare sempre nello stesse punto.
Dopo un’oretta circa intravidi attraverso i rami un colore rosa di una costruzione. Gambe in spalla cominciai a camminare sempre più velocemente fin quando arrivai alla casa rosa che è sulla collinetta vicino a dove ora c’è l’Eurospin. Ne avevo fatta di strada. Ero partito dalle fontanelle!
Felice scesi velocemente fino a raggiungere il tabernacolo che c’è nella strada che va verso la Portaccia. Mi fermai, dissi velocemente una preghiera e, con il “golfe” a brandelli e tutto sudato arrivai in Piazza. Ero salvo.