CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – Avevo il cuore in gola, sudato fradicio correvo a più non posso. Sentivo dietro di me le falcate di chi mi inseguiva. Se mi avesse acciuffato sarebbe finita male non avevo dubbi. Oggi, passando in quella zona del paese, proprio dietro le Fontanelle (dietro il bar Ciro), mi sembra impossibile che proprio lì ci fosse quel meraviglioso, invitante campo di baccelli dove mi ero fermato per assaggiarne qualcuno…
A maggio i campi di baccelli ci attiravano come il miele attira gli orsi. Il paragone non è azzardato! Gli orsi quando trovano il miele devastano l’alveare, noi quando individuavamo la possibilità di mangiarli a sbafo ci intrufolavamo nel mezzo del campo con la stessa foga. I proprietari ovviamente non condividevano.
Quella sera ci parve quella buona. Niente luna, nessuno nei paraggi. In modo furtivo entrammo nel campo con un sacchetto e cominciammo a cogliere. Di lì a poco ci accorgemmo che, sul lato opposto, era appostato il proprietario con in mano un grosso bastone. Un attimo dopo, senza refurtiva, ci trovammo inseguiti. Non riuscì a prenderci e non ci riconobbe. Fu una fortuna ma niente baccelli.
Il paese finiva proprio alle Fontanelle, più o meno. Da lì al campo Irio Valdrighi solo altri campi. Più tardi, quando cominciarono a spuntare case come funghi, solo la vecchia cava troneggiava sul Poggetto adiacente. Sotto tutti olivi. Alla cava io, Sauro, suo fratello e pochi altri avevamo stabilito il quartiere generale. Il posto di comando. In quel luogo elaboravamo le strategie per la “guerra con i ciucci”. No, i ciucci non erano asini, ma una specie di canna che a ciucciarla risultava dolciastra.
Ne ciucciavamo la quantità che serviva a procurarci le nostre armi, i ciucci appunto, per combattere contro la banda capitanata dai Mirolli e da altri. Era un’attività meno cruenta della “sassaiola”, tuttavia sempre di battaglia si trattava. Loro ci attaccavano scagliandoci contro i ciucci a mo di lancia e noi facevamo la stessa cosa. Il loro obiettivo era conquistare l’avamposto, il nostro impedirlo. Passavamo interi pomeriggi a combatterci.
Era il nostro passatempo preferito in primavera. In quel periodo avevamo davanti ancora un paio di mesi di scuola e non potevamo certo perderci nel gioco per tutto il pomeriggio. Alla cava ci andavamo dopo aver fatto i compiti e ci stavamo finché non cominciavamo a scorgere le prime lucciole. Dopo a casa.
In uno di quei pomeriggi ad estate ormai fatta, cominciammo a sentire che alcuni incendi minacciavano il paese. Siccome gli incendi si propagano a volte molto velocemente non considerammo prudente, ovviamente, perché i nostri genitori ce lo imposero, il trattenersi presso la cava. Cercavamo di conoscere dove fosse il fuoco per renderci conto della pericolosità. Cominciammo a capire che l’incendio si era propagato in Val delle Cannucce, proprio a due passi dalle case.
Tra gli adulti la preoccupazione si faceva sempre più forte. Infatti i numerosi vigili del fuoco, forestali e volontari, non riuscivano ad arginare le fiamme e cominciarono ad essere impiegate ruspe ed escavatori per ripulire e ampliare “le cesse”. Le notizie si facevano a volte rassicuranti e a volte catastrofiche. Se il maestrale aumentava di intensità l’odore della macchia bruciata arrivava fino alle Paduline.
Finché una notte intorno alle due cominciarono a suonare le campane a martello, chiaro segnale di pericolo imminente. Lunghe lingue di fuoco potevano essere viste in tutto il versante verso Follonica. Così alte da atterrirci… l’odore era acre e entrava a forza nelle narici. Ricordo ancora il volto di mamma, attonito e preoccupato, come se chiedesse, senza risposta, quando sarebbe finito quel fuoco. In paese un andirivieni di autobotti e di camion che traportavano ruspe enormi.
Alle luci dell’alba finalmente cominciammo a vedere che il fuoco aveva perso vigore e che gli sforzi profusi stavano dando i frutti sperati. Con estrema difficoltà dopo circa tre giorni dall’inizio l’incendio fu considerato sotto controllo, anche se ci volle una settimana ancora prima che si potesse dire che era completamente spento. Infatti molti focolai costringevano vigili e forestali ad lavoro estenuante.
Nei giorni seguenti potei rendermi conto dei danni provocati. Da allora mi chiedo come sia possibile che tutto ciò sia avvenuto casualmente. Perché proprio mentre soffiava un forte maestrale? Perché partendo da una zona impervia? Può accadere tutto questo senza che qualcuno lo provochi? Queste domande non hanno mai avuto risposte e le stagioni del fuoco non si sono mai interrotte, tuttavia l’incendio scoppiato in quell’anno fu il più violento e devastatore che io ricordi.
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