GROSSETO – La riuscita di uno spettacolo la si valuta in base al comportamento che il pubblico assume quando esce dal teatro: se sente il bisogno di fare “qualcos’altro”, allora non è andata tanto bene; se, invece, il sentimento comune è quello di tornare verso casa e gustarsi nel proprio intimo le emozioni scaturite dall’artista, beh, allora è stato un successo. Non mi è dato sapere cosa abbiano fatto, ieri sera, i miei oltre duecento compagni di concerto dopo lo show di Bobo Rondelli, ma io sono rigato dritto verso casa.
Il cantautore livornese, al teatro degli Industri, è stato coinvolgente. È riuscito con pura naturalezza, un po’ come ci aveva abituati il grande Carlo Monni, a coniugare lo spirito faceto e caustico fieramente toscano con una sensibilità artistica sopraffina. Bobo è un compositore vivace, assolutamente non assoggettato dai diktat del mondo commerciale, che passa dalla prosa alla poesia con invidiabile semplicità. Il pubblico vive una lunga corsa sulle montagne russe, in cui le risate si fondono con la malinconia e la solitudine, e si perde nel mondo dell’artista in cui i temi esistenziali, come l’amore e la morte, dominano la narrazione.
Il teatro degli Industri, ovviamente, non ha fatto eccezione. Il cantautore livornese ha portato sul palco, insieme a Claudio Lucci al pianoforte, una scaletta eterogenea: c’era la dolcezza de “La marmellata”, la malinconia atavica di “Madame Sitrì” (un capolavoro di inestimabile valore) e di “Falso Chagall” e la tagliente delicatezza di “Nara” e, una delle sue ultime fatiche, “Sabrina”.
Il pubblico si diverte, Bobo scherza e con il suo modo sornione ne ha per tutti: non dimentica l’affossamento ingiustificabile del Ddl Zan, affronta il tema della religione, del sesso, dei vaccini, sempre con la sua classica connotazione (auto)ironica. Fa imitazioni, in onore della festa di Halloween estrae dal cilindro il suo “Mostro di Piombino” e racconta svariati aneddoti, come quello riferito ad un certo cantante di Lajatico.
Se possiamo compiere un parallelismo, la sensibilità artistica di Bobo, unita ad un’anima non elitaria e convintamente popolare, ricorda molto il “vecchio Hank”, all’anagrafe Charles Bukowski, colui che dalla strada e dalla crudezza della società era capace di estrarre la poesia più soave. E allora non ci resta che festeggiare il passaggio del cantautore labronico nella nostra Grosseto, colui che sorvola libero tra sacro e profano, tra amore e morte, colui che, tra una battuta e una lacrima, ti costringe ad andare a casa, lasciare il trambusto dei locali e riflettere.