di Annalisa Mastellone
RAVI – Tra “Rivolta e pìetas” rivive il mondo della miniera. Tantissime le persone che hanno applaudito alla nuova opera teatrale che Alfonso Santagata e la sua compagnia Katzenmacher hanno messo in scena dal 15 al 17 settembre nella miniera di Ravi. Un omaggio all’epopea mineraria che ha segnato il territorio e che prende ispirazione dalla lotta dei minatori che nel 1963 occuparono questi pozzi per evitarne la chiusura. Fatti e vicende realmente accaduti che hanno ripreso vita in una rappresentazione itinerante tra gli spazi del nuovo percorso museale Ravi-Marchi, attraverso scene quotidiane di lotta, dolore, fatica, ma anche di spensieratezza e momenti felici.
E così, tra gli echi di discorsi e canzoni di protesta diffusi da audio originali, ricordi e memoria hanno preso le forme di lavoratori instancabili, delle donne dei minatori che lottano al loro fianco, di vedove coraggiose, e raccontano di una vita scandita dalle lunghe ore di lavoro e protesta al buio tra le viscere delle terra, dalla paura della sirena che suona a morte, ma anche dalla voglia di divertirsi “fuori” con famiglia e amici a una matrimonio o a una festa da ballo. Un mondo che Santagata ha studiato e approfondito per due anni, attraverso documenti storici e testimonianze di ex minatori.
“Un lavoro importante di tre anni – ha detto Santagata – con cui abbiamo toccato, dipinto e trasfigurato il mondo della miniera e dei minatori, esplorando la complessità umana di chi l’ha vissuto. E siamo molto soddisfatti perché è un lavoro che ha dato i suoi frutti”.
Insieme agli attori professionisti Rossana Gay, Johnny Lodi e Massimiliano Poli, 30 attori maremmani (la maggior parte gavorranesi) che hanno partecipato ai laboratori teatrali gratuiti, grazie a un progetto (Patto per il riassetto del sistema teatrale della Toscana) finanziato dalla Regione 3 anni fa su proposta della Provincia di Grosseto e dell’istituzione comunale “Gavorranoidea”, volto ad ospitare in residenza artistica la compagnia di Santagata per dar vita a una produzione teatrale frutto di un lavoro sul territorio.
Santagata, che tipo di lavoro è stato?
Dopo una prima produzione, 3 anni fa, sulla tragedia greca al Teatro delle Rocce, il nuovo obiettivo era affrontare il mondo delle miniere. Un lavoro di studio e conoscenza che ci ha impegnato negli ultimi due anni nella sfida di entrare col teatro dentro la vita di miniera, non metterla semplicemente in scena. Una vita dura, affascinante, piena di tenebre e pericoli che portava i luoghi e i minatori a una tensione e un’alterazione fortissima che rispecchiano quelle del teatro. Non volevamo fare una narrazione patetica del minatore sofferente, ma raccontare cosa quel mondo ci ha trasmesso. Non di morte o museificazione, perché quello che è accaduto qui nella miniera di Ravi nel ’63 ci dice che la miniera non è morta, non è memoria e basta ma un mondo ancora vivo, come dimostrano le vicende dei minatori nel Sulcis, in Africa, Spagna. I 3 mesi di occupazione dei pozzi di Ravi da parte dei 17 minatori sono una storia esemplare e di avanguardia dei diritti civili del lavoro.
E’importante valorizzare dal punto di vista culturale questi luoghi e conservarli, proteggerli come memoria. Ma la memoria va alimentata, ossigenata, va portata, dentro, una dimensione che è quella del teatro, dell’arte che può essere veramente una grande linfa per questo mondo. Sono affascinato dall’universo della miniera e di questi luoghi di memoria, e l’idea è che questo sia il primo capitolo dei sette con cui vogliamo arrivare in tutte le Porte del Geoparco delle Colline Metallifere, tirando fuori le energie umane da questi luoghi. Ogni Porta avrà un sentimento primordiale a cui dedicare il lavoro: qui a Ravi ce ne sono due, Rivolta e Pìetas, che descrivono al meglio questo mondo.
Un bilancio, non solo artistico, della sua esperienza coi ragazzi dei laboratori e a Gavorrano?
E’ il terzo anno che lavoro coi ragazzi, sono cresciuti tantissimo e continueranno a farlo. Siamo un gruppo affiatato che si vuol davvero bene: non è retorica, ma non è stato solo un percorso di formazione, ma qualcosa di speciale. Qui non c’è stata solo partecipazione, riconoscenza, condivisione, ma si è creato un legame forte che ha dato a tutti moltissimo. Seminare in progetti del genere mi piace molto. A livello umano è un’esperienza di vita importante, di tensione altissima. E di Gavorrano sono innamorato. Catturato dalla vita di miniera che ne ha segnato la storia, da questa esperienza porterò via un senso di appartenenza emotiva inspiegabile, anche se non vengo dalla vita di miniera. C’è qualcosa qui tra la natura e gli esseri umani che ti tocca profondamente.
Ben vengano dunque progetti come questo finanziato dalla Regione, di formazione e valorizzazione culturale del territorio. Sono occasioni di scambio e di crescita culturale e umana, e il mio lavoro qui ne è testimonianza, che vanno sempre perseguiti e promossi. Nei miei laboratori ho un gruppo di ragazzi che potevano tranquillamente fare altro, e tra cui sono nate relazioni profonde. Non è vero che investire in cultura costa e non rende. Una politica seria non deve guardare alle casse nell’immediato, ma avere il coraggio di agire in una prospettiva umana e civile a lungo termine, che renderà soprattutto umanamente, ma anche economicamente.