GROSSETO – “La notizia dell’individuazione delle 67 aree italiane da parte di Sogin potenzialmente idonee per la realizzazione del Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi è deflagrata in questi giorni in tutti i territori interessati – spiegano dal Partito della rifondazione comunista Federazione di Grosseto -, tra i quali ce ne sono due nella nostra regione: uno in provincia di Siena (tra Trequanda e Pienza, quindi nella val d’Orcia) e uno in provincia di Grosseto (nel comune di Campagnatico).
Il sito prescelto in un primo momento dovrà contenere 78.000 metri cubi di rifiuti a bassa e media intensità e poi anche 17.000 metri cubi ad alta attività, questi ultimi per un massimo di 50 anni (per poi essere sistemati in un deposito geologico di profondità di cui al momento poco si sa).
Unanime il coro di proteste, dai rappresentanti degli enti locali delle zone interessate a Legambiente e Greenpeace. In questo coro però ci pare di sentire delle voci stonate. Completamente strumentali e fuori luogo le proteste da parte delle destre e dei loro esponenti locali e nazionali da sempre sostenitori del nucleare per usi civili e non. La destre in costante ricerca di consenso utilizzano ogni mezzo non lasciandosi sfuggire l’occasione di cavalcare l’onda del malcontento popolare sconfessando se stessi e tutto quanto sostenuto in materia.
Ricordiamo, ad esempio, che nel 2003 il governo Berlusconi aveva provato a costruire un deposito nazionale di scorie nucleari a Scanzano Jonico e questo spinse migliaia di persone, lucane e non, a mettere in piedi una protesta durata quindici giorni che ha salvato l’economia locale di un territorio ricco di storia evitando l’insediamento di un’infrastruttura “che avrebbe portato la morte senza alcuna ricchezza” come sottolineato dall’associazione Scan-ziamo le scorie.
La Federazione di Grosseto di Rifondazione comunista naturalmente fa proprie le istanze della popolazione interessata, avendo il proprio partito, lui sì, partecipato in tanti anni alle molteplici battaglie ecologiste (inceneritore di Scarlino, geotermia dell’Amiata ecc.) e osteggiando scorie radioattive e scorie di ambiguità politica.
Il nostro partito si è sempre opposto con rigore e coerenza all’uso del nucleare sia per finalità militari che per la produzione civile di energia. Così come da tempo rivendichiamo la necessità di una messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi prodotti prima della chiusura delle centrali, avvenuta a seguito del referendum del novembre 1987, e, successivamente, dai residui dell’utilizzo sanitario nella diagnostica e nelle radioterapie. La necessità di individuare un sito dove stoccare con assoluta sicurezza tali materiali è ovvia e da molto tempo nell’agenda dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Una “patata bollente” difficile da maneggiare e destinata a suscitare proteste degli abitanti dei siti individuati.
Ma l’unico modo per uscirne è quello di discutere non sui luoghi oggetto della scelta finale, ma sui criteri utili a determinarla, criteri che devono essere trasparenti e sostenuti da una evidenza oggettiva delle caratteristiche dei luoghi: antropizzazione, rischio sismico e alluvionale, caratteristiche geomorfologiche, economiche e culturali dei diversi territori.
Questa trasparenza è mancata ed è mancato questo coinvolgimento partecipativo, preferendo tenere il problema, tutt’altro che utile per la caccia al consenso, ben nascosto nel fondo del cassetto dai governi che si sono succeduti nell’ultimo quinquennio. Bisogna ripartire da qui.
E fino a che questo processo non verrà attuato in piena trasparenza e garantendo un processo partecipativo dei cittadini, nessuna scelta è legittima, né a Campagnatico, né a Trequanda e nemmeno a Clauso in provincia di Torino, per citare un luogo lontano da noi e dal nostro giardino.
Ciò detto occorre dimensionare correttamente la questione, che pure ha ovviamente un pesante risvolto psicologico ed anche economico. Si devono trovare dei siti per stoccare tali residui, e perché no, ogni regione dovrebbe individuare quelli per i propri residui sanitari; per le scorie nucleari invece occorrerebbe verificare le condizioni essenziali per la sicurezza massima (rischio sismico e idraulico e lontananza da insediamenti umani).
E ci dobbiamo preoccupare, però, anche delle 70 testate nucleari conservate sul nostro territorio nazionale e distribuite con il solo criterio della collocazione militarmente più strategica – concludono da Rc -. Testate che rappresentano un terribile rischio, e che sfuggono a qualsiasi forma di controllo delle popolazioni”.