GROSSETO – Tramite un’amica che abbiamo in comune, e alla quale sono veramente grata, ho avuto la possibilità di mettermi in contatto con Maria Carla Fruttero, figlia dello scrittore Carlo Fruttero, e farle questa intervista per me è un grande onore.
Maria Carla, lei è nata a Torino, dove era nato anche suo padre e dove è stato ambientato anche il romanzo “La donna della domenica”, uno dei capolavori scritti da Fruttero & Lucentini pubblicato da Mondadori nel 1972. Che cosa ha di magico questa città secondo lei?
Torino è una città con una atmosfera molto particolare, specialmente all’epoca de “La donna della domenica”, il primo romanzo scritto a quattro mani da Fruttero & Lucentini. Mio padre era torinese doc, Franco Lucentini invece era romano ma aveva vissuto molti anni a Parigi e si trasferì a Torino proprio perché gli ricordava molto la ville lumière con i suoi grandi viali, le grandi piazze squadrate, i portici e molto verde.
La pianta a scacchiera, in cui le strade si intersecano le une alle altre, crea una geometria singolare e ricca di fascino. Si racconta che in passato, nei sotterranei che corrono sotto certi quartieri della città, si celebrassero messe nere e riti satanici, quindi un po’ per l’atmosfera misteriosa, un po’ per l’eleganza sabauda, i due l’hanno scelta come teatro dei loro due romanzi più noti “La donna della domenica” e “A che punto è la notte”.
Lei cresce tra Torino e Roccamare (Castiglione della Pescaia) e frequenta il ginnasio a Grosseto. Che ricordi ha di quel periodo?
I miei ricordi del ginnasio sono bellissimi. Ho vissuto dal ‘76 al ‘78 nella pineta di Roccamare e ho frequentato la IV e V ginnasio al Liceo Classico Carducci Ricasoli di Grosseto, prendevo l’autobus la mattina presto, scendevo in piazza Duomo e proseguivo a piedi fino a scuola.
È stato un periodo intenso, divertente, in cui ho conosciuto un sacco di gente che mi capita spesso di incontrare e frequentare anche adesso dopo tanto tempo.
Sono stati anni importantissimi per la mia formazione scolastica, ma soprattutto mi hanno regalato una profonda sensazione di radicamento e appartenenza a questi luoghi così diversi da Torino e dalle sue abitudini: la Maremma, Castiglione della Pescaia, Grosseto, mi sono entrati nell’anima e mi hanno definitivamente conquistata.
Poi in Maremma ha scelto di viverci. Perché?
Non è che ho scelto, è proprio venuto naturale. In un periodo della nostra vita, cioè dal 2005 in poi, con mio padre abbiamo deciso che la cosa migliore era appunto trasferirci qui. Mio padre già non stava molto bene, e per me era importante che trascorresse il tempo che gli restava in un luogo salubre, dove si respira aria buona invece di smog, circondato dal verde, dagli animali, dagli uccelli, dai suoni della natura.
Papà ha sempre amato la natura, la pineta, il silenzio e la quiete, frequentava moltissimo il paese – Castiglione – conosceva tutti e spesso andava a vedere le partite di calcio o gli incontri di box al bar Temperani. Siamo venuti qui per la prima volta nel ‘68 e la nostra non è mai stata semplicemente “la casa delle vacanze”, scendevamo appena possibile, Natale, Pasqua, ponti dei Santi e così via, è stato quindi naturale scegliere di vivere qui.
Anche suo padre amava molto la Maremma . Quali erano le cose che lui apprezzava di più di questa terra?
Intanto la Maremma stessa, terra affascinante di per sé. Poi la gente, ruvida ma schietta e soprattutto molto ironica, e poi il buon cibo. Adorava l’acqua cotta, la ribollita, la panzanella che aveva imparato a fare seguendo la ricetta tradizionale di Agostina, splendida contadina maremmana, che d’estate lui preparava per tutta la famiglia. Andava pazzo per il cinghiale in umido e per i tortelli e quando tornavamo a Torino spesso si procurava gli ingredienti e cucinava alla maremmana, perché fra le altre cose a mio padre piaceva cucinare e lo faceva anche molto bene.
Nel 2013, a circa un anno dalla morte di suo padre, esce il libro che lei ha scritto dal titolo “La mia vita con papà” edito da Mondadori. Quanto è stato facile per lei scrivere questo libro? E quanto invece è stato difficile?
Scrivere “ La mia vita con papà” è stato effettivamente sia facile che difficile. Facile perché avevo tutto in testa , mi bastava ricordare il mio passato per raccontarlo, ma in realtà l’ho scritto “su commissione”. Mio padre infatti non amava parlare di sé e del suo privato e quando la Mondadori gli chiese di raccontare la sua vita in un’autobiografia rifiutò con decisione passando a me la palla.
“La mia storia la scriverà Carlotta a babbo morto”, disse all’editore. Quando poi morì, Mondadori si ricordò di quella risposta e mi chiese se avessi voglia di provarci. Io non avevo mai scritto, o meglio, pubblicato nulla fino a quel momento. La presenza ingombrante di mio padre mi ha sempre condizionata, non avrei mai potuto essere alla sua altezza e non avevo mai avuto lo stimolo per intraprendere quel tipo di carriera. Ma me l’aveva chiesto lui, quindi dovevo fare almeno un tentativo.
Non sapevo bene da che parte cominciarem poi un giorno, mettendo a posto le sue carte, ho ritrovato le lettere che mi scriveva quando lui e Franco si isolavano per mesi qui in pineta o nella campagna francese per lavorare ai romanzi. Si trattava principalmente di piccoli aneddoti quotidiani, brevi storielle i cui protagonisti erano perlopiù insetti, animaletti dei boschi, disavventure divertenti che i due vivevano ogni giorno. Così ho pensato di partire proprio da lì e il resto è venuto da sé, in modo naturale e fluido: mi è bastato tuffarmi nei ricordi.
È stato appunto questo l’aspetto più complicato e per certi versi doloroso. Tutti quei momenti che fissavo sulla carta e che ricordavo con grande emozione non si sarebbero mai più ripetuti, non avrei mai più ascoltato le sue storie, i suoi consigli, non avrei mai più potuto raccontargli di me, dei miei sogni e dei miei guai, improvvisamente mi sono resa conto che da quel momento in poi non avrei più avuto ricordi di noi due insieme, nessuno più mi avrebbe chiamata Carlotta come faceva lui e nessuno mi avrebbe più incoraggiata a non mollare mai qualunque cosa accada.
Ma ho una grande fortuna, perché vivo in una casa dove la sua presenza è fortissima, ogni oggetto, libro, poltrona, mi parla di lui e sto cercando di vivere seguendo la sua filosofia e i suoi preziosi suggerimenti: vedere sempre il bicchiere mezzo pieno e saper cogliere i dettagli che fanno sempre la differenza e possono regalarti attimi di piccola ma immensa felicità.
Grazie Maria Carla.