GROSSETO – “Siamo gli ultimi degli ultimi: gli ultimi a chiudere e gli ultimi a riaprire”.
E’ il grido di allarme delle famiglie dei ragazzi disabili che frequentano il centro diurno della Fondazione Il Sole, che si sono date appuntamento oggi pomeriggio nel giardino della sede.
“Protestiamo per il protrarsi della chiusura della Fondazione Il Sole – spiegano – dovuta al ritardo dei permessi necessari per la ripresa delle attività all’interno del centro”.
La Regione, infatti, ha emanato le linee guida per la riapertura a inizio maggio, prevedendo il via libera alla ripresa delle attività tra il 18 e il 30 maggio, e stanziando un contributo di 3 milioni di euro a disposizione delle Zone distretto e Società della Salute dei territori di competenza delle Asl toscane per garantire una riapertura graduale, efficace e soprattutto sicura.
“Siamo al 15 giugno e ancora non sappiamo quando i nostri ragazzi potranno ricominciare a frequentare la Fondazione – proseguono i genitori dei ragazzi de Il Sole -. Sono passati 100 giorni dall’inizio del lockdown, l’Italia ha riaperto le frontiere, è ripartito lo sport, i cinema e sono ripresi i centri estivi: perché dilungarsi nel concedere le autorizzazioni per la riapertura dei centri diurni per disabili?”.
“I nostri ragazzi da più di tre mesi sono reclusi in casa – va avanti una mamma -. Il fatto di ritornare in Fondazione per loro significa riaprirsi al mondo, tornare in società, riprendere quelle relazioni sociali che avevano prima del Coronavirus, diventate la loro quotidianità. Adesso vivono in isolamento, a contatto solo con la loro famiglia”.
“E soprattutto – interviene un’altra mamma –, il rischio più grande è quello che perdano tutto quello che hanno acquisito negli anni in Fondazione, sia in termini di socialità sia in termini di attività. I ragazzi sono stressati, alcuni stanno regredendo. Stare con i genitori non dà lo stesso entusiasmo di stare con i propri amici”.
E sull’obbligo dei test sierologici ai ragazzi per essere riammessi alle attività dei centri diurni: “Molti di loro hanno timore, e alcuni, per fare un prelievo, devono essere tenuti fermi da quattro persone, o addirittura devono essere sedati. E’ una ‘violenza’ che adesso – spiegano –, visto che ormai le persone si muovono senza problemi su tutto il territorio nazionale e non solo, non ha più senso”.
“Se è stato complicato per tutti, pensate cosa può significare stare in quarantena per un ragazzo disabile – dice una mamma -. L’80% della loro giornata la trascorrevano qui, nel centro, con gli educatori e i loro amici. Poi tutto insieme stop, questo non esiste più. E’ stato pesante per loro e per noi. Trovare attività da fargli fare, che li potessero interessare e divertire, è stato complicatissimo, partendo dal presupposto che non tutti capiscono quello che gli stai spiegando, e non tutti trovano interesse nel fare le cose”.
“C’è la volontà di rallentare questa riapertura – conclude -, perché i centri diurni sono ad oggi le uniche strutture rimaste chiuse. Il mondo della disabilità non esiste, noi non ci siamo”.