GROSSETO – L’anticipo al 1° maggio delle nuove regole per la mobilità è stata un’esperienza distopica. Nel pomeriggio Grosseto pareva più di quanto non sia già di solito nelle giornate di festa una città di fantasmi. Con le persone imbavagliate dalle mascherine che si aggiravano circospette e smarrite, in una surreale aura estraniante.
La questione tuttavia non è estetica, né emotiva. Perché quel che tutti ci chiediamo senza darci risposte che non siano ansiogene, è quale sia il futuro che ci aspetta. I bandoni abbassati di negozi e attività di varia natura sono infatti particolarmente spaventevoli in una realtà come la Maremma, dove commercio e servizi costituiscono il nocciolo duro del tessuto economico ben al di là di quanto incidono in altre zone della Toscana. E dove in parte consistente costituiscono un segmento produttivo indotto del turismo. Che quest’anno prenderà una botta di dimensioni imprecisate, ma ragguardevoli.
Non si tratta di giocare a fare i Nostradamus di provincia, ma di provare a capire cosa succederà. Non nella sopravvalutata “fase 2” ma fra un anno. Perché l’impressione netta è che ancora la gran parte di noi, della nostra elaborazione collettiva, sia ferma sulle gambe. Ancora inebetiti dallo shock di un trauma inatteso, e soprattutto incapaci di pensare a qualcosa di diverso che non sia come tornare alla situazione quo ante (precedente). Quando l’oggetto vero del contendere dovrebbe essere come saremo nella primavera del 2021. Perché a essere spietati ma realisti, è difficile pensare che fra dodici mesi il nostro tessuto economico e sociale possa essere tornato alle condizioni di partenza. Peraltro tutto fuorché soddisfacenti.
L’impatto repentino e devastante della pandemia di Covid-19, da questo punto di vista, ha accelerato in modo drastico gli elementi di declino sia della struttura produttiva del Paese, che di quella di Maremma e Amiata. Questa è l’amara evidenza con cui bisognerà lucidamente fare i conti nei prossimi mesi, senza farsi sopraffare dalla necessità di riorganizzare quel che è rimasto in piedi per convivere con il Coronavirus. In attesa che arrivi a dama la messa a punto del vaccino.
Per cui mentre riorganizziamo ognuno nel proprio ambito le modalità di lavoro, bisognerà capire in che direzione andare per dare un nuovo assetto alla Maremma del futuro. Ad esempio, considerati gli effetti indotti dal Covid-19 sui nostri comportamenti sociali, non è difficile prevedere la definitiva radicale trasformazione del commercio di vicinato, che già era in fortissima sofferenza per i colpi di Gdo e commercio online. Non è solo il problema conseguente alle difficoltà di sopravvivere di chi non può permettersi di rimanere senza incassi per cinque/sei mesi. Ma quello molto più profondo del cambiamento delle abitudini di consumo di certi beni a seguito del lockdown (confinamento) che ci ha reclusi in casa. Per ipotesi, siamo sicuri che la tradizione di mangiare fuori non sarà sostituita in parte consistente da quella di farsi consegnare il cibo a casa, anche di qualità. Molto più di quanto già non avvenisse prima? Oppure che le persone torneranno con la stessa frequenza ad andare al cinema, invece di invitare gli amici a vedere insieme a casa un film o una serie Tv, utilizzando Netflix, Amazon Prime o Sky. Dopo il boom incredibile degli abbonamenti alle piattaforme per l’home video? E così per tanti altri beni di consumo? Ma soprattutto, siamo così sicuri che oltre a cambiare i consumi e il loro modo di fruirli, l’esperienza del confinamento non avrà convinto una quota consistente della popolazione che certi consumi sono proprio superflui?
In molti hanno sottolineato che dal ricorso massiccio allo smart working (telelavoro) non si tornerà più indietro. Ed è probabile che sia vero, per moltissimi motivi. Fra i quali: almeno per alcune tipologie di dipendenti e professionisti, l’aumento della produttività e la riduzione dei costi aziendali. Ad esempio per le trasferte – benzina, tempo, costi di manutenzione dei mezzi aziendali, buoni pasto – che saranno sempre più sostituite dalle teleconferenze; più efficienti e meno costose. Cosa che però avrà conseguenze molto pratiche: meno spese di manutenzione e leasing aziendali per le auto, meno pranzi e cene in trattoria, meno benzina ai distributori, meno assicurazioni. Per converso più spese di gestione di reti e sistemi online, più costi di riscaldamento/condizionamento e luce per chi rimarrà a lavorare a casa. Cambiamenti apparentemente marginali ma che a grande scala significheranno spostamenti di risorse ingenti da un’allocazione all’altra, e stravolgimenti sociali. Ma anche meno inquinamento da scarichi delle automobili, com’è apparso chiaro durante la quarantena.
Ancora. È pensabile che il turismo – già di per sé uno dei comparti dei servizi più sensibili alla variabilità del sentiment dei viaggiatori – possa tornare ad essere nell’estate del 2021 esattamente quel che è stato nel 2019. Che, per ipotesi, dopo un’estate di clausura e vincoli come sarà quella di quest’anno, nel 2021 gl’Italiani non reagiscano aumentando in modo significativo i viaggi all’estero? Magari stabilizzando
il trend negli anni a seguire. Con la conseguente riduzione della spesa sul mercato interno, alla quale si dovrà trovare una compensazione?
I cambiamenti in corso d’opera potrebbero essere quasi incredibili. Com’è successo in questi giorni nel settore del vino, per dirne un’altra. Con Coldiretti che a fronte della forte riduzione degli acquisti del vino per la serrata della ristorazione, ha proposto di trasformare tre milioni di ettolitri di vini generici in alcol disinfettante per usi sanitari. Per non buttare il prodotto accumulato in magazzino e dare una risposta all’impennata dei consumi di soluzioni alcooliche igienizzanti.
D’altra parte solo in questi ultimi due mesi, è risultato evidente che la mutazione improvvisa del contesto ha danneggiato la maggior parte degli operatori economici, ma ha beneficiato in modo stupefacente altri. Ed è molto probabile che in uno scenario a medio-breve termine la crisi economica scatenata dalla pandemia del Coronavirus, produca uno stravolgimento degli equilibri consolidati.
Il nostro torto come Paese, ma anche in particolare come territorio provinciale, è stato quello di essere arrivati all’appuntamento con questo incidente della storia impreparati e in condizione di debolezza strutturale. I teorici del cambiamento sostengono che in ogni crisi ci sia un’opportunità da cogliere. Di sicuro il peggioramento delle nostre difficoltà, ci costringe a fare i conti con la nostra capacità d’innovazione. E soprattutto come comunità a saper reagire con spirito cooperativo, senza cedere al riflesso condizionato dell’autarchica chiusura a riccio. Che già in passato ha prodotto vittimismo e danni ingenti.
Speriamo di essere in grado di dare un bel colpo di reni, altrimenti a questo giro sarà una tragedia vera.