GROSSETO – Poche sere fa Beppe Severgnini, ospite di Lilli Gruber a “Otto e mezzo”, commentando la debacle organizzativa e sanitaria della Lombardia, diceva che a suo giudizio c’è un eccesso di zelo da parte di molti nel sottolineare questo fallimento. Una malcelata soddisfazione nel constatare il collasso di quelli che in fondo sono «i primi della classe»: i lombardi.
Riflettendoci credo Severgnini abbia un pezzettino di ragione. Perché le piccolezze dell’animo umano sono insopprimibili, e senza dubbio in giro c’è anche questo sentimento. Per nulla giustificato di fronte alla tragedia di più di 10.000 morti in quella regione.
Tuttavia Severgnini ha commesso due errori di metodo. Ha confuso deliberatamente la soddisfazione di chi da anni critica a ragion veduta il modello della sanità lombarda, basata tutta sull’incentivazione dei consumi sanitari ospedalieri e sulla privatizzazione fittizia pagata con laute convenzioni a base di soldi pubblici, col presunto compiacimento per i morti. E in seconda battuta ha confermato lo stereotipo immotivato «dei primi della classe», che è riferito al primato italiano nella produzione di Pil di quella regione. La qual cosa non ha alcuna attinenza con l’efficienza ed efficacia del suo servizio sanitario. Evidentemente.
Tutto questo fa riflettere. Nella fattispecie sulle differenze con quel che è successo in Toscana, a partire da molti anni a questa parte. Fino agli esiti recenti della pandemia Covid-19, decisamente positivi rispetto alla catastrofe della Lombardia.
Protagonista assoluto di questa parabola, ma non unico, è stato senza dubbio Enrico Rossi. Presidente della Regione oramai in dirittura d’arrivo dei suoi due mandati, e precedentemente assessore regionale alla sanità (1990-1999). Cosa che in molti sostengono non abbia mai smesso di fare, in parallelo al ruolo forte svolto dall’attuale assessora, Stefania Saccardi.
Ricordo bene le battaglie giuste, ma avversatissime, per la chiusura dei piccoli ospedali toscani. Inefficaci e inefficienti. Il piano pluriennale che ha portato alla nuova rete ospedaliera, con molti monoblocchi provinciali nuovi di zecca. Costruiti con projet financing alquanto criticati. Poi il passaggio controverso e incompleto, ma sacrosanto, delle Società della salute. Quindi la grande riorganizzazione nelle tre Asl interprovinciali, farraginosa e imposta dalle ristrettezze di bilancio, ma lungimirante. Come il tentativo, riuscito a metà, di passare al modello per “intensità di cura”, osteggiato dalle lobby dei medici ospedalieri. Quindi quello successivo, osteggiato da medici di base ma giusto, della realizzazione delle “case della salute”, per riorganizzare la medicina territoriale. Infine la gestione della pandemia, perfettibile ma di grande efficacia. Con l’ultima puntata delle mascherine gratuite per tutti i residenti in Toscana. E molte altre cose.
Ho avuto anche la ventura di conoscere Rossi personalmente, osservandone il modo di agire. Un uomo deciso, un po’ egocentrico, umorale e capace d’incazzature epiche. Allo stesso tempo lungimirante, capace di assumersi le proprie responsabilità senza tentennamenti e instancabile. Anche quando non ho condiviso le scelte che ha fatto.
Ecco. Per quel che vale, io da cittadino a Rossi lo volevo ringraziare per i vent’anni in cui ha “nazzicato“ in Regione Toscana. Forse poteva andarci meglio. Ma credo il suo bilancio sia molto positivo. Mi veniva in mente ascoltando Severgnini e pensando ai «primi della classe». Sobriamente ma sinceramente: grazie Enrico.