GROSSETO – «Nessuno compra, nessuno vende». È la sintesi fatta in un recente report del Fondo monetario internazionale. Conclusione lapalissiana, visto i tempi che corrono.
Malgrado l’aura da cupio dissolvi che tutto avvolge, merita provare a tornare a parlare di economia locale. «Into o culo al Covid-19», direbbe Cetto La Qualunque, alias Antonio Albanese.
Partendo da un’intuizione. Forse gli storici deficit di questa provincia – vastità del territorio, scarsità di popolazione, forte connotazione rurale, quasi nulla propensione all’export – potrebbero per certi versi costituire un piccolo vantaggio al momento di uscita dalla fase dell’emergenza. Sui tempi della quale è inutile dilapidare energie in considerazioni oziose. La fine della quarantena dipende dalle autorità sanitarie. Punto.
Fra tre mesi sarà estate. A primavera appena iniziata, quindi, meglio concentrarsi su due settori determinanti in provincia di Grosseto come agricoltura e turismo. Anche perché cicli della natura e abitudini umane sono quasi immutabili, e quindi va capito come si organizzerà “l’economia di guerra” per i due settori in questione.
Già in questi giorni in campagna arrivano le primizie: carciofi, asparagi, baccelli……e ci si prepara per le colture orticole e frutticole. È impellente quindi dare soluzione al problema della manodopera per raccogliere il prodotto fresco, che non va sprecato lasciandolo marcire nei campi. La Cia, ad esempio, ha proposto l’immediata «sanatoria per i lavoratori irregolari presenti sul territorio italiano, e una piattaforma per la gestione del lavoro stagionale con l’incrocio tra domanda e offerta, e l’intervento delle organizzazioni professionali agricole per tracciare il fabbisogno di manodopera delle aziende». Una cosa che si avvicina alla proposta già avanzata dalla Cgil. Peraltro, seguendo alcune accortezze, in campagna si potrebbe lavorare mantenendo le regole di distanziamento sociale. Che un po’ tutti sostengono dovranno rimanere in vigore fino al momento in cui non sarà individuato un vaccino.
La crisi portata dal Covid-19, inoltre, ha modificato radicalmente le abitudini dei consumatori. I produttori agricoli che si rivolgevano prevalentemente o esclusivamente ai mercati rionali e al canale commerciale “Horeca” (hotel, restaurant e caffè), sono andati subito in crisi. Mentre chi conferiva a strutture cooperative o a trasformatori industriali, ha salvato le penne perché è riuscito a mantenere lo sbocco commerciale dei propri prodotti attraverso la grande distribuzione organizzata (Gdo) o i portali di vendita online.
La gente continuerà a mangiare e quindi la vocazione agricola di questo territorio è in questa fase una benedizione, al di là delle difficoltà strutturali del settore primario. A patto che, però, si faccia tesoro di quel che sta succedendo. Perché lo era già prima, e a maggior ragione è più chiaro oggi: piccolo – anche in agricoltura – non è bello, e senza strutture cooperative che aggreghino le produzioni (commodities), e soprattutto senza un’industria strutturata della trasformazione, per gli agricoltori non c’è un gran futuro. Detto in altre parole, vanno verticalizzate le filiere: produzione-trasformazione-commercializzazione. E in Maremma, ancora oggi, nonostante una buona presenza della cooperazione, mancano diversi anelli alla catena della trasformazione. La crisi quindi è un’opportunità per fare dei passi avanti in questa direzione, mettendo da parte egoismi e antagonismi, per organizzare finalmente sul territorio un efficiente comparto agroalimentare e agroindustriale, che abbia nella grande e media distribuzione, online o tradizionale, il proprio sbocco di mercato.
Passando ad altro. Vastità del territorio, scarso insediamento della popolazione e isolamento infrastrutturale ci hanno paradossalmente protetto dalla pandemia del Covid-19. A oggi in provincia di Grosseto ci sono solo 261 contagiati ufficiali, e la nostra è l’ultima area della Toscana quanto a persone con infezione conclamata. Più difficile trasmettere il virus in zone poco antropizzate e soprattutto “impermeabili” all’esterno durante l’inverno, perché poco attrattive di flussi di persone. In estate quindi potremmo essere un territorio “Covid-free”, il che potrebbe comportare un qualche vantaggio reputazionale. Così come, a questo giro, le circa 30.000 seconde case presenti in provincia potrebbero più che mai essere una risorsa, in vista di una stagione estiva che tutti prevedono sarà breve e all’insegna di lacrime e sangue.
Sono proprio di questi ultimi giorni le prime previsioni di comparto. Il Centro studi turistici (Cst) di Firenze, ad esempio, in un’analisi elaborata per Assoturismo Confesercenti parla della sparizione dai radar di 10,5 milioni di presenze per le festività da Pasqua al 1° maggio, con la perdita di 3,3 miliardi di consumi turistici. Se le cose andranno bene, si potrà parlare di stagione turistica a partire da metà giugno, con gli stranieri praticamente azzerati.
Il crollo degli arrivi dall’estero impatterà moltissimo su Firenze e le città d’arte, e molto sulla costa livornese. Molto meno su quella maremmana, che sui quasi 6 milioni di presenze del 2019, aveva meno di un milione e mezzo di presenze straniere (poco al di sotto del 25% del totale). L’obiettivo quest’anno è salvare la pelle e non chiudere, anche avendo presente che in molti le “ferie” le avranno fatte, forzate, a marzo e aprile. Quindi sarà strategico attirare gl’Italiani, sperando che abbiano nel frattempo metabolizzato un turismo in modalità “by myself”: mascherina, guanti e distanziamento sociale. Magari contenuti in un kit d’accoglienza. Non sarà il massimo, ma meglio che rimanersene a casa dopo marzo e aprile da depressione. Fermo restando che quest’estate sarà più dedicata a conservare i clienti, che ad acquisirne di nuovi.
D’altra parte c’è voglia di vacanza. A rilevarla un’indagine di scenario elaborata dalla società di consulenza e comunicazione integrata “Acqua Group” per un’azienda della Gdo. Gli Italiani, sottolinea il report, «continuano a guardare alle vacanze estive come possibile “risarcimento” per l’attuale momento di difficoltà. Una prospettiva importante, anche dal punto di vista psicologico». Un sentiment da verificare nelle settimane a seguire, ma che sembra sottolineare la voglia di rimettersi in movimento.
Che certi consumi, come le vacanze, possano essere vissuti come “risarcitori” dei torti subiti dal Covid-19, lo hanno già dimostrato i Cinesi. Che al momento della riapertura «di negozi e catene, con le dovute precauzioni, si sono rimessi in coda, con l’obiettivo di “fare spesa per vendicarsi”. Con una lunga lista delle cose da fare per riprendersi, in cima alla quale ci sono: andare al ristorante – viaggiare, festeggiare e fare shopping».
Nella speranza che oltre al ritorno del consumismo in chiave riparatoria, ci sia anche una nuova consapevolezza quanto a stili di vita.