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Oramai è passato un po’ di tempo da quando tutto è iniziato. E col tempo si cominciano a capire alcune cose, con altre che se ne aggiungeranno nei giorni a venire.
Una di queste è che il mitico modello della sanità lombarda non è per niente mitico. In quella regione, infatti, hanno puntato tutto sui cosiddetti “stabilimenti ospedalieri” (nomen omen). Grandi strutture specializzate nelle cure avanzate di patologie complesse e rare, pensate anche in virtù del fenomeno della migrazione sanitaria dal centro sud Italia. Con un fortissimo settore pseudo-privato, convenzionato con il servizio pubblico e specializzato nei Drg (diagnosis-related group) più lucrativi. I tariffari per le diverse prestazioni sanitarie. In sintesi, in Lombardia la sanità è senza dubbio d’eccellenza, ma orientata alla prestazione ospedaliera. Sovradimensionata, e fortemente insediata dal privato, che ha tutto l’interesse a favorire i consumi sanitari e quindi la cura.
Del tutto marginale la sanità territoriale, la prevenzione sanitaria, la rete di rilevazione epidemiologica, l’integrazione fra medici di base e sistema sanitario. Lo hanno detto per primi proprio i medici di medicina generale (di famiglia) e i pediatri di libera scelta, che sono stati lasciati soli e quindi si sono ritrovati travolti dalla pandemia. Con il successivo intasamento dei pronti soccorsi che sono diventati propagatori dei contagi. Ne ha dovuto prendere atto lo stesso sindaco di Milano, Beppe Sala. Che si è impegnato a cambiare approccio, una volta superata l’emergenza. Regione permettendo.
Questa roba riguarda anche noi in Toscana. Dove le cose vanno un po’ meglio, perché la Regione ha puntato da tempo sulla rete ospedaliera integrata coi servizi socio-sanitari territoriali e i medici di famiglia. Le Società della salute e le Case della salute ne sono la testimonianza. Peccato, però, che rispetto al modello su carta siamo “indietro come le palle del cane” (detto maremmano). E c’è ancora moltissimo da fare. Le cause sono evidenti: in 10 anni per la sanità pubblica c’è stato in Italia un definanziamento reale di 37 miliardi. Chiaro che anche le buone idee hanno arrancato. Anche se in Toscana ed Emilia-Romagna (soprattutto) le cose sono andate un po’ meglio.
Passata ‘a nuttata, ricordiamoci da dove ripartire. Evitando puttanate che già alcuni evocano, tipo riaprire i piccoli ospedali periferici, costosi e inefficaci, dove nessuno si farebbe manco un’unghia incarnita. Servono servizi territoriali ramificati, con personale dedicato per la presa in carico non ospedaliera dei pazienti. Servizi adeguatamente finanziati. Quella è la strada, non il ritorno al passato.