GROSSETO – Maggio è dietro l’angolo. A maggio si voterà per il rinnovo del governo della Toscana. E checché ne dicano i detrattori delle Regioni, il livello regionale del governo della cosa pubblica è determinante sotto molti punti di vista per la qualità della vita delle persone. Così come per la qualità del lavoro delle imprese insediate sui territori.
La Toscana intesa come comunità ha da sempre un’alta opinione di sé stessa, solo parzialmente giustificata. In parte non secondaria motivata dai fasti del Rinascimento, la cui eredità contribuisce ancora oggi a determinare una quota delle fortune dei toscani.
Grosseto sta in questa Toscana. Ma allo stesso tempo ne costituisce l’eccezione più vistosa. Per struttura del tessuto produttivo, dotazione infrastrutturale, demografia e composizione dei flussi turistici. Un’anomalia che negli anni è rimasta sostanzialmente tale. Soprattutto non evolvendo in un compiuto modello di sviluppo articolatosi su presupposti originali. Né prendendo la strada dell’assimilazione alle altre aree della regione. Praticamente rimanendo immobile negli anni, uguale a sé stessa.
In questo senso l’alternanza politica che qui si è verificata sin dal 1997 – quando il Centrodestra conquistando l’amministrazione del Comune capoluogo, interruppe per la prima volta in Toscana l’egemonia del Centrosinistra – non ha prodotto niente di significativo. Nessuna sostanziale rottura di continuità. Nessuna innovazione dirompente. Col senno di poi, si può tranquillamente dire che le promesse dai toni biblici di catarsi e resurrezione, si sono tradotte in un continuismo anodino. Poco entusiasmante. Andazzo a dire il vero condiviso trasversalmente un po’ da tutti i gruppi dirigenti dei vari corpi intermedi. Con le ovvie eccezioni che ognuno può individuare a proprio piacimento.
Per questi motivi e per altri che sarebbe lungo richiamare, le prossime elezioni regionali dovrebbero essere l’occasione buona per un confronto d’idee un po’ sopra le righe. Più che per volare alto, almeno il pretesto per dare una lettura attenta delle dinamiche in corso. Con poche ma sulfuree idee in grado di dare una direzione di marcia per gli anni a venire. Che fatalmente sanciranno o la definitiva irrilevanza e marginalità della Maremma e dell’Amiata, oppure, auspicabilmente, l’avvio di un percorso di rinascita. Comunque lungo e irto d’ostacoli.
I segnali di fumo che annunciano l’imminente campagna elettorale non sono tanto per cambiare incoraggianti. Con gli schieramenti politici già prigionieri di slogan da posizionamento: chi vuole liberare la Toscana dal giogo komunista. Chi non la vuole lasciare cadere in mano ai nuovi barbari. Chi fa il terzo incomodo per darsi un tono, e finirà come la bella Campiglia. Sì ma idee, ne abbiamo? Non necessariamente del tipo: io farei questo, io quest’altro. Ma anche io andrei in direzione di. Oppure io in quest’altra.
Per essere propositivi. Allora. Questa provincia ha bisogno d’attrarre investimenti dall’esterno. È evidente che non ce la fa con le proprie risorse endogene. C’è un nocciolo duro di aziende strutturate, innovative e con una vocazione all’export. In ognuno dei macro-settori economici: servizi, industria, agricoltura. Ma sono poche e da sole non hanno la possibilità di imprimere il cambio di marcia all’intero territorio.
Bisogna allora favorire in ogni modo l’arrivo di grandi realtà imprenditoriali da altre zone d’Italia o dall’estero. Bisogna, cioè, che chi guiderà la Regione si dia l’obiettivo di svolgere con efficacia il ruolo di
Agenzia di attrazione degli investimenti per conto della Maremma, cooperando lealmente con gli Enti locali del territorio. Guardiamo al turismo, ad esempio. L’arrivo a Marina di Grosseto dell’investitore specializzato Bluserena Spa, che ha rilevato le ex colonie Bodoni e Saragat è una cosa molto positiva. Come lo è stato in precedenza il subentro alla guida delle Terme di Saturnia dei gruppi Feidos e York Capital, sotto l’egida di un manager come Massimo Caputi. Che sta mettendo a punto un’ambiziosa strategia di valorizzazione del termalismo nelle colline del Fiora. A quanto pare coinvolgendo anche lo scalo civile del Baccarini.
Qualcuno, trasversalmente agli schieramenti politici, ha manifestato l’intenzione di – diciamo così – ripubblicizzare le aziende che gestiscono i servizi di pubblico interesse. Dai trasporti all’acqua, dal gas ai rifiuti. Magari creando una multi-utility campione regionale, in grado di competere con l’emiliano romagnola Hera o la lombarda A2A. Indubbiamente può essere una strada che ha una propria percorribilità. Tuttavia la gestione di marca pubblica nel medio periodo ha solo generato piccoli monopoli, inefficienti e gestiti in modo clientelare. Che non hanno portato alcun vantaggio reale ai cittadini consumatori finali. Per questo, forse, sarebbe meglio lasciare la gestione a chi si muove nella logica del profitto. Preoccupandosi viceversa di avere un solido sistema di controlli e vincoli che garantiscano l’interesse pubblico, oggi sostanzialmente inefficace. Perché le commistioni tra gestori e controllori, non hanno mai dato esiti degni di nota.
Insomma di carne al fuoco ce ne sarebbe da mettere tanta. Bisognerebbe solo trovare chi è in grado di allestire la griglia.