FOLLONICA – Se ho avuto la possibilità di contattare Giuliano Giuggioli lo devo ad un nostro amico comune che stamattina ci fa compagnia durante l’intervista.
Sono da poco passate le 11 e varcare quella soglia non è stato per me solo entrare nello studio del pittore. “ Ci sono pittori che dipingono il sole come una macchia gialla, ma ce ne sono altri che grazie alla loro arte e intelligenza trasformano una macchia gialla nel sole” diceva Pablo Picasso ed ecco, io lì dentro ho trovato quel sole. Mi vengono in mente mille cose da chiedere ma devo fare ordine e partire dall’inizio senza dimenticarmi di ringraziarlo per la sua squisita disponibilità ed ospitalità. E anche per avermi concesso di dargli del tu.
Allora Giuliano, sei nato a Vetulonia, in un posto significativo per la storia del nostro territorio perché è una città etrusca. Cosa senti di avere ereditato da questa terra e da questo popolo?
Si sono nato a Vetulonia e l’appezzamento del luogo della nascita è avvenuto per me in età più matura perché da bambino era solamente il luogo dei miei nonni. Io ho abitato lì per un anno e mezzo dopo la mia nascita per poi trasferirmi a Follonica con i miei genitori. Per me quello era un paesetto, solo con il passare del tempo mi sono reso conto che era un luogo carico di fascino e di storia . Lì, a questo punto, sento forte le mie radici perché in qualche modo, in modo ideale, nelle stratificazioni che mi portano in questa terra che io calpesto, ai primi livelli ci sono i miei genitori e poi sotto i miei zii, i miei nonni e sotto ancora ci sono gli etruschi. Questo è il filo diretto delle radici perché la città nuova di Vetulonia insiste sulla città vecchia e lì sotto ci sono gli etruschi. Gli etruschi, popolo affascinante perché praticavano la divinazione, guardavano il volo degli uccelli e le interiora degli animali e riuscivano a vederci degli auspici per il futuro. E l’artista ha un po’ una missione simile: pur senza perdere mai di vista il suo passato, tenta di aprire una finestra sul futuro. Gli etruschi erano anche un popolo ricco di modernità. Nella loro società, ad esempio, uomini e donne erano assolutamente sullo stesso livello, cosa alquanto insolita a quei tempi.
Giuliano sei nato il 14 Luglio, il giorno in cui nel 1789 c’è stata la storica presa della Bastiglia che dette inizio alla rivoluzione francese . Quanto ti senti rivoluzionario e quanto di rivoluzionario c’è nella tua arte?
Bene, non sono proprio un personaggio adatto alla rivoluzione ma sono adatto all’evoluzione. Della rivoluzione francese la parte che mi interessa di più è quello che è successo contemporaneamente e dopo: l’Illuminismo, le persone che hanno dato importanza alla ragione che poi porterà alle azioni .E quindi sì, se vuoi sono rivoluzionario in quel senso. Io sono ancora un pittore che dipinge opere che hanno dei contenuti. Invece in questa epoca si da più importanza all’estetica e meno al contenuto. Io sono del parere che una cosa che è estetica è legata ad un periodo storco e basta, non sopravviverà. Un’opera che invece ha dei contenuti potrà far ragionare in futuro nuove generazioni.
Sei un pittore affermato, ma ci vuoi raccontare i tuoi primi approcci con la tela e con i colori?
Sì, sono cresciuto a Follonica e all’epoca non c’erano i mezzi di comunicazione di massa, non c’era nemmeno la televisione quindi pretendere di fare l’artista qui è stato proprio un azzardo di quelli incredibili. Ma la mia era una vocazione. Io dovevo fare questo da grande. Mi barcamenavo disegnando senza maestri vicino, senza gallerie, però il mio desiderio era quello. E cercando una mia via, una notte sognai di incontrare Giorgio De Chirico in casa dei miei genitori dove alle pareti avevo attaccato dei disegni e dei quadri dei vari generi di cui mi occupavo in quel periodo. Nel sogno chiedo al maestro “ Maestro, ma io cosa devo fare da grande?” Lui mi risponde “Sei destinato a fare questo” indicando i quadri alle pareti. Avevo 18 anni quando ho fatto questo sogno ma ancora oggi seguo i suoi dettami.
Sono arrivate le prime esposizioni in Italia e adesso anche in Svizzera in America. Dove altro esponi?
In Cina.
Quindi credo che da Vetulonia tu abbia davvero spiccato il volo…
Sì, ho la fortuna di fare una pittura surrealista, simbolica, che può parlare una lingua universale perché la lingua delle immagini non ha confini di idioma, quindi se un cinese o un americano o un abitante dell’Alaska o del Botswana vede un mio quadro si farà delle domande però potrà fare un percorso proprio. Sicuramente anche il fatto che io mi sia dedicato all’arte quasi per vocazione, mi ha permesso di arrivare così lontano. Le mie opere vengono capite, gradite, apprezzate a livello internazionale. Ho avuto sempre porte aperte .E’ una grande soddisfazione perché è sempre stata una mia ambizione quella di poter comunicare a tutti, senza distinzione di colore, etnia o età. La sfida più difficile di oggi è quella di riuscire a non farsi sopraffare dall’età che avanza, restando comunque a contatto con un pubblico vasto che va dal giovane all’anziano.
Cinque edizioni di ART EXPO di New York dove sei stato ospite dell’esclusivo circolo degli artisti della città. Ci vuoi raccontare questa esperienza?
È stata una delle esperienze più belle e più pregnanti della mia carriera. Il circolo comprende i 400 artisti più famosi di New York, da Woody Allen in poi perché racchiude artisti della musica, della pittura, della letteratura Dennis Rea, il gallerista che allora si occupava delle mie opere, era ospite di questo circolo esclusivo nel quartiere Soho di Manhattan. Fu lui ad invitarmi. Dopo un lungo dibattito su questioni come la luce nei dipinti, cenammo lì. L’ambiente era magnifico, tutto in Tiffany originale al quarto piano di un grattacielo.
I tuoi Pinocchi sono famosissimi, ma perché ti appassiona la figura di Pinocchio?
Pinocchio è stato il primo personaggio surreale che ho incontrato. Mia madre mi leggeva Pinocchio perché a quei tempi non c’erano né televisione né giochini elettronici, e io bambino sognavo questo pezzo di legno che si animava, a cui cresceva il naso e che incontrava il grillo parlante, il gatto e la volpe. Se ci pensate è una fiaba surreale, forse per questo mi ha colpito da subito. Crescendo l’ho messa in un cassetto finché io questo libro l’ho letto a mio figlio. E a quel punto ho scoperto le potenzialità di questo personaggio. Però ho voluto fare una piccola “correzione”: c’era una parte del libro che non mi piaceva: quando Pinocchio per premio diventa un bambino. Per cambiare questa sua condizione, il primo Pinocchio che ho dipinto è stato il Pinocchio innamorato. Ho creduto di rappresentare un Pinocchio ormai adulto, che ha superato l’età dell’infanzia. L’età dell’amore è un’età adolescenziale e anche oltre, quindi il Pinocchio che diventa bambino non c’è più, l’ho salvato. Il mio Pinocchio sarà sempre Pinocchio anche da adulto. E ovviamente è una storia molto autobiografica.
Se dovessi scegliere tre aggettivi , come definiresti il tuo stile?
Surreale, simbolico e azzurro, il colore dell’intelletto.
Le lancette dell’orologio corrono veloci ma prima di salutarci chiedo a Giuliano con quale frase concluderebbe la nostra chiacchierata.
Mi viene in mente una frase di Paul Eluar, poeta surrealista amico di Salvador Dalì, che secondo me rappresenta benissimo quello che è la mia poetica:
“ Ci sono altri mondi ma sono in questo”