GROSSETO – Quali porte apre la sentenza sul “fine vita” resa lo scorso 25 settembre dalla Corte costituzionale, a seguito della questione sollevata dai giudici di Milano nel processo a Marco Cappato? Che aveva accompagnato in Svizzera l’amico Fabiano Antoniani – alias Dj Fabo – per assisterlo nella sua volontà di suicidarsi.
Se ne discute giovedì 12 dicembre – alle ore 17.00 – nella sala Elisa Vannuccini della Fondazione il Sole (in via Uranio 40), nell’ambito della rassegna «Diversa cultura». A parlarne Matteo Mainardi, membro dell’Associazione Luca Coscioni, coordinatore dal 2013 del comitato Eutanasia Legale e vicepresidente del Comitato nazionale dei Radicali italiani. Con lui Massimiliano Frascino, giornalista e presidente della Fondazione Il Sole Onlus di Grosseto.
L’incontro alla Fondazione nasce per capire e ragionare sulle conseguenze pratiche della sentenza 242 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato incostituzionale l’articolo 580 del Codice penale. Escludendo l’incriminazione di chi presta aiuto al suicidio in alcuni specifici casi. Una sentenza da tanti ritenuta “storica”, ma che era stata contestata da una parte della politica, del mondo cattolico e dei medici.
La sentenza della Consulta, peraltro, richiama ancora una volta il Parlamento a intervenire con una «compiuta disciplina», dopo la richiesta caduta nel vuoto due anni fa, quando la Corte sospese la decisione proprio per dare il tempo alle Camere di legiferare
Nel frattempo, la non punibilità viene subordinata al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda, rimettendo al Servizio Sanitario Nazionale sia la verifica delle condizioni previste.
La disobbedienza civile di Marco Cappato per assistere Dj Fabo è riuscita così a tutelare le persone deboli, e il rispetto del loro diritto alla vita combinato con il rispetto del loro diritto di autodeterminazione. Oltreché l’emersione dalla clandestinità che fino ad oggi il silenzio del legislatore ha avallato.
Con la sua decisione la Corte non ha introdotto nel nostro ordinamento un “diritto alla morte”,ma si è occupata, dal punto di vista penalistico, di chi aiuta altre persone – nelle indicate e circoscritte condizioni – che decidono di porre fine alla propria vita, nel rispetto del proprio concetto di dignità. Il divieto di istigazione al suicidio e di assistenza al suicidio al di fuori delle condizioni prefissate, rimangono dunque reato per salvaguardare “persone malate, depresse, psicologicamente fragili, ovvero anziane e in solitudine, che potrebbero essere facilmente indotte a congedarsi prematuramente dalla vita”, come scrissero i giudici nell’ordinanza dello scorso anno.