GROSSETO – Via libera dalla provincia al nuovo piano faunistico venatorio con importanti novità soprattutto in merito alla gestione della popolazione del cinghiale. Due quelle principali: la revisione delle aree vocate con l’abolizione delle “aree di gestione intermedia” e la definizione di linee di gestione per aree vocate e non vocate. Sarà consentita una densità compatibile con le varie tipologie ambientali nelle aree vocate, mentre per le aree non vocate si dovrà tendere all’eradicazione del cinghiale con tutti i metodi a disposizione.
Sulle aziende faunistico venatorie (AVF) viene stabilito un limite massimo di superficie aziendale di aree boscate e un limite massimo di superficie per ogni AFV (1000 ettari, raddoppiabili se si partecipa a progetti di pubblica utilità). Si individuano come possibili specie di selvaggina in indirizzo, la lepre, fagiano, pernice rossa, starna, lepre italica e capriolo italico. Per queste ultime due specie autoctone la Provincia porta avanti da anni specifici progetti di studio e salvaguardia.
Il Piano detta poi le linee di gestione per lo sviluppo delle Zone di Ripopolamento e Cattura e delle Zone di Rispetto Venatorio, istituti pubblici gestiti dalla Provincia insieme agli Atc, che nel corso degli ultimi anni hanno registrato un importante incremento delle popolazioni di lepri e fagiani. E prevede, inoltre, modifiche ai perimetri degli istituti a tutela della fauna come le Oasi e le Zone di Protezione della Migratoria.
“Questo piano – spiega il presidente della Provincia, Leonardo Marras – introduce elementi di innovazione nel rapporto tra istituti pubblici e privati, e rivede il ruolo delle aziende faunistico venatorie, grazie alla collaborazione con le quali, miglioreremo gli habitat e formuleremo un’esperienza innovativa di integrazione pubblico-privata. L’obiettivo di questa rottura di continuità con gli strumenti di pianificazione del passato, è di dare una soluzione più adeguata sotto il profilo tecnico alla gestione della popolazione di cinghiale nelle zone non vocate, aggredendo in modo efficace il problema così da salvaguardare le colture prese di mira dagli ungulati. L’altro macro obiettivo del Piano, è quello di favorire il reinsediamento sul territorio della fauna selvatica di piccola taglia con specie autoctone, che negli anni sono andate progressivamente diminuendo».