GROSSETO – Le chiamano con fare sofisticato «emissioni odorigene», ma stringi stringi si tratta di puzza bell’e buona. Puzza di merda, si direbbe di prim’acchito. A dispetto dei pur sporadici entusiasmi per “industria 4.0”, a Grosseto oggi il problema dei problemi è questo. Metafora perfetta, volendo, del decadimento di un territorio che vola basso. Molto basso.
Eppure, al di là d’ironie sin troppo facili, anche la vicenda degl’impianti a biomasse che circondano Grosseto appestandone saltuariamente l’aria, sono a ben guardare un capitolo dell’eterna antitesi tra sviluppo economico e qualità della vita. Di questo si tratta. Perché le mini centrali alimentate a biomasse – residui agricoli, frazione organica derivante dalla raccolta differenziata e sterco degli allevamenti – producono certamente calore ed energia elettrica bruciando il biogas che sviluppano, oltre che il cosiddetto «biogestato»; un ammendante agricolo tipo il compost. Ma con altrettanta certezza liberano nell’aere anche odori molto poco gradevoli. Che alcuni assimilano a quello della «pollina», il guano degli allevamenti avicoli, oppure delle sanse degli oleifici. Mentre i più sarcastici lo associano al puzzo di bottino.
Ma in definitiva chi ha ragione? I titolari delle concessioni ad installare impianti a biogas per produrre energia elettrica, oppure i cittadini imbelviti per i periodici cattivi odori che invadono vaste zone dei quartieri?
Il buon senso direbbe entrambe le categorie di persone. Trenta quarant’anni fa quella dello spandimento nei campi del letame, della pollina o della sansa proveniente dagli oleifici, con l’obiettivo di concimare i terreni, in agricoltura era una pratica piuttosto diffusa e socialmente accettata. Poi gli allevamenti zootecnici sono drasticamente diminuiti, il letame è diventato demodé. È rimasto ancora per un po’ di tempo lo spandimento nei campi della sansa e dei residui di lavorazione del pomodoro. Dopodiché ci siamo emancipati progressivamente dalle nostre origini contadine, fino quasi a vergognarcene. E così i salubri cattivi odori di madre natura sono quasi scomparsi dalla circolazione. In nome della decenza e del bon vivre. Salvo alcune isole “felici” dove il casereccio puzzo di stallatico regna ancora sovrano: come agli “Attortellati”, lungo la provinciale della Trappola, spesso avvolti nei miasmi della porcilaia retrostante il ristorante. O al Bottegone, lungo l’Aurelia, dove l’allevamento bovino dell’azienda agricola “Le Rogaie” diffonde a pieni polmoni l’odore tipico di urea del letame bovino.
Oggi gli allevatori sono stati sostituiti dai produttori d’energia elettrica da biomasse, incentivati dallo Stato per sostituire quella prodotta coi combustibili fossili. Il che dimostra, fra l’altro, che non esiste nessuna attività produttiva completamente ecologica e a impatto zero. Non esistono rifiuti zero, energia elettrica zero, e così via. Ma molto semplicemente ogni ciclo produttivo ha vantaggi e svantaggi.
Detto questo, anche i residenti a Grosseto – che la corrente elettrica la usano, eccome – hanno il diritto sacrosanto a non vivere ostaggio di miasmi e «maleodoranze», come dicono quelli forbiti. E quindi hanno ragione da vendere a pretendere che il problema sia affrontato e, per quanto possibile, risolto. Perché puzza e cattivi odori, anche se non sono inquinanti, incidono sia sulla qualità della vita che su altre attività economiche, come nel caso del turismo.
È abbastanza evidente che c’è una lacuna legislativa da colmare velocemente. Ed è altrettanto evidente che c’è un giochino a rimpallarsi le responsabilità. Con il sindaco fatalmente un po’ troppo schiacciato sulle posizioni di Confagricoltura, che rappresenta buona parte delle grandi aziende agricole che non casualmente hanno realizzato gl’impianti a biogas.
Ma tutto questo potrebbe addirittura essere il minore dei problemi. Perché se è vero quel che sostiene un documentato articolo di “Business Insider Italia” di Repubblica.it, quella delle «maleodoranze» non sarebbe la cosa principale di cui preoccuparsi. Il rischio, infatti, in un Paese che con 1.300 impianti è il terzo produttore al mondo di biogas, starebbe nella possibile contaminazione delle falde acquifere dovuta a difetti di realizzazione delle vasche di fermentazione. Dalle quali filtrerebbero nei terreni, fino ad arrivare alle falde, le corrosive «sostanze digestanti» utilizzate per far fermentare le biomasse e produrre biogas. Il problema delle «emissioni odorigene», invece molto meno grave, potrebbe dipendere da una progettazione poco accurata e da una scarsa manutenzione degli impianti.
Secondo l’esperto di scurezza ambientale intervistato da Business Insider, infatti, questi problemi sono già stati più volte riscontrati in diversi impianti, sia in Italia che all’estero.
In conclusione, è bene non prendere sotto gamba la cosa.Nella speranza che quello dei cattivi odori sia il problema principale. Peraltro in buona parte risolvibile.