Il numero rilevante è 827, non quel -3,85% nei giorni scorsi sotto i riflettori dell’opinione pubblica a seguito dell’inchiesta del Sole24Ore. Ottocentoventisette, infatti, sono gli Euro che mediamente ogni abitante di Grosseto ha guadagnato in meno nel 2016 (dichiarazione dei redditi 2017) rispetto al 2008, anno in cui è iniziata la grande crisi. Che ancora è di là dall’essere superata.
Praticamente dieci anni dopo, al netto di un’inflazione decennale calcolata all’11%, i grossetani hanno perso mediamente 69 Euro al mese rispetto a quanto si ritrovavano in tasca nel 2008. Parrebbe poca cosa, vista in termini assoluti. Ma invece è un’enormità, perché – a parte il fatto che dopo un decennio gran parte dell’Italia non ha ancora superato il Pil del 2008 – quanto a decremento di reddito pro capite, Grosseto città se la gioca con il sud Italia. In termini di riduzione percentuale di imponibile dichiarato al Fisco, infatti, sono solo 22 su 108 i capoluoghi di provincia che hanno perso reddito (pro capite) in misura maggiore di Grosseto. Non solo fanalino di coda in Toscana, dunque, ma nel gruppo di coda dei peggiori capoluoghi nazionali.
E c’è dell’altro: arretriamo significativamente in percentuale (-3,85%) su un reddito medio imponibile di 21.782 Euro nel 2016, che è molto più basso di quello della media dei capoluoghi italiani: 25.170 Euro (-1,92% sul 2008). I capoluoghi, inoltre, hanno nella stragrande maggioranza dei casi un reddito pro capite più alto della media della loro provincia, la qual cosa non depone per niente bene rispetto alla Maremma e all’Amiata grossetano. Anche tenendo conto che i residenti nei Comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, hanno in media un reddito Irpef più basso del 20% rispetto alla media dei capoluoghi.
Secondo l’indagine del Sole24Ore, peraltro, un po’ in tutta Italia in questi anni sono diminuiti i contribuenti rispetto ai residenti. La città di Grosseto ha 71,7 contribuenti ogni 100 residenti. Apparentemente, anche in questo caso, non malissimo: ma va tenuto presente che una percentuale molto alta è costituita da pensionati e non da lavoratori attivi, così come che i giovani non in età lavorativa probabilmente incidono poco sui non contribuenti a causa della crisi demografica.
Infine un’ulteriore considerazione. Quel -3,85% è indicativo di un trend e considerate le condizioni dell’economia locale e cittadina, se l’indagine sarà ripetuta nei prossimi anni – redditi 2017 e 2018 ad esempio – è altamente probabile che registri un ulteriore peggioramento della situazione. Così come va considerato che quel famigerato -3,85% è un dato medio dietro al quale, anche in questo caso seguendo un trend nazionale, è praticamente certo che si nasconda una divaricazione della forbice tra i più ricchi e i più poveri.
Come territorio siamo dunque allo sparo? Sinceramente in giro per l’Italia c’è di peggio, ma la situazione è molto brutta. E non bastano né la propaganda spicciola né la sottovalutazione interessata. Ci vorrebbe un’idea di sviluppo un po’ più articolata delle ovvietà che si sentono in giro, ma anche un’analisi impietosa sul come siamo arrivati a questo stato di atrofia. Al di là del trend nazionale, infatti, sono evidenti responsabilità locali.
Provando a fare un velocissimo, incompleto e semplificato elenco della spesa.
1. Basta con le azioni di distrazione di massa. L’invasione dei migranti è un non problema, una gigantesca puttanata sulla quale è inutile continuare a disperdere energie. I migranti sono invece una risorsa economica determinante, oltre che sociale, per sostenere l’economia locale. In particolare in agricoltura, nell’edilizia, nei servizi al turismo e nell’assistenza alla persona.
2. Sull’infrastruttura autostrada tirrenica forze politiche, enti locali e associazionismo d’impresa e ambientalista hanno tutti una responsabilità comune nei clamorosi ritardi accumulati. La mancanza negli anni di coesione del territorio su un’ipotesi condivisa di tracciato autostradale ha prodotto l’immobilismo che ha minato l’intera economia. Il Centrodestra che alle ultime elezioni amministrative ha cavalcato il comitatismo è stata la ciliegina sulla torta di una dinamica da tempo impazzita. Oggi siamo nelle mani del ministro “Tony-Nelly”, le cui non memorabili gesta autorizzano pensieri nefasti. Serve una reazione, veloce, decisa e compatta. Anche rispetto allo sblocco degli ultimi due lotti della Grosseto-Siena.
3. Ripartire dal manifatturiero sì, ma come? Rafforzare l’industria di trasformazione agroalimentare già ben insediata in Maremma, è una strada obbligata ma ci vorrà tempo. Un comparto sottovalutato è quello di meccanica ed elettromeccanica. Pochi nomi, ma significativi: Tosti (Castel del Piano); Elettromar e Opus Automazione (Follonica); Kelli, Eurosider, Noxerior, Tecnoseal e Fam (Grosseto), Elettromare (Porto Santo Stefano). Sono aziende di dimensioni medio piccole, ma innovative e internazionalizzate. Bisogna sostenerle e creare le condizioni per sviluppare un piccolo distretto, o almeno un cluster di subfornitura.
4. La geotermia è una risorsa economica ed energetica. Sull’Amiata, a Piancastagnaio, Floramiata è ripartita dando lavoro grazie alla geotermia. Inoltre va chiuso l’accordo con Enel e vanno spesi alla svelta i soldi per adeguare la provinciale del Cipressino, senza la quale l’Amiata morirà di pizzichi.
5. Amiata Piano Festival, Morellino Classica Festival, Santa Fiora in Musica, Grey Cat Festival. Quattro esempi di festival musicali di elevata qualità che costituiscono una piccola filiera integrata con turismo ed enogastronomia. Bisogna assolutamente insistere, coinvolgendo i produttori vitivinicoli che con l’enoturismo hanno di fronte una prateria ancora in buona parte inesplorata.
6. L’area industriale del Casone di Scarlino va tutelata e rilanciata, sia portando a compimento le bonifiche, che attraendo nuovi investimenti e dotando l‘area delle infrastrutture logistiche che servono. Quindi, per dirne una, va data subito una soluzione al problema dei gessi rossi della Venator. Ma subito subito.
7. Con chi fare questo, e molto altro? Inutile raccontarsi frottole, l’Ente più vicino è la Regione e nell’immediato gli unici soldi, e le poche idee in campo, arrivano da lì. Come hanno dimostrato le rare elaborazioni strategiche: i Progetti integrati di filiera, il Distretto agroalimentare e il Flag Costa degli Etruschi per pesca e acquacoltura, i due poli tecnologico e per l’innovazione e l’agroalimentare. Sarebbe a questo punto necessario ottenere anche l’area di crisi complessa, reclamata a gran voce dalla Cgil. In attesa che il governo dimostri di esistere, una volta esaurito l’alibi dei disgraziati sui barconi.