Come in un B movie, la tragedia finisce in farsa. La vicenda del cogeneratore di Scarlino volge così nel più scontato dei modi al suo epilogo, seguendo un copione dalla trama politica di livello scadente.
Avventurarsi nella ricostruzione dei passaggi giudiziari e amministrativi sarebbe impresa titanica, e sinceramente anche inutile, perché nessuno ha la buona fede di attenersi al merito delle sentenze già emesse da Tar e Consiglio di Stato. E perché il gioco delle parti rispetto alle procedure giudiziarie ancora in corso, impedisce una discussione razionale. Ché serena sarebbe improponibile comunque.
La questione, direbbero i “passatisti”, è eminentemente politica. Ed è l’ennesima declinazione locale della logica della paralisi e dell’irresponsabilità che – dalla Tav alla Tap, fino all’Ilva – sta precipitando l’Italia fra i Paesi del secondo mondo (sul terzo stanno comunque lavorando alacremente).
Cominciamo quindi dall’esito finale. A inseguire sul loro terreno comitati e arruffapopolo si finisce per delegittimare sé stessi, dimostrando la propria inutilità di politici e amministratori. Esattamente quel che sta succedendo nella zona nord a quel che resta del Partito democratico e ai suoi amministratori. Con la corresponsabilità del livello provinciale e regionale. Centrodestra e M5S, da questo punto di vista, non sono sul banco degli imputati solo per la loro irrilevanza politica: non avendo mai governato, anche dall’opposizione non hanno mai avuto la forza di rappresentare un’alternativa realistica sulla gestione del ciclo dei rifiuti. Limitandosi a cavalcare l’onda del comitatismo, nel ruolo comodo e non oneroso degli “amiconi” del popolo.
A ottobre ci sarà la pronuncia del Tar sulla compatibilità impiantistica o meno dell’inceneritore di Scarlino. Può darsi che l’impianto venga definitivamente bloccato, ma potrebbe darsi che ottenga il via libera: la questione è tecnica. In ogni caso la politica avrà fatto una pessima figura perché per tutti questi anni si è limitata a correre dietro ai comitati, rifiutandosi di fare chiare scelte d’indirizzo politico e allo stesso tempo cadendo nella trappola d’intromettersi in valutazioni tecniche che non le competevano.
Esemplificativo del cortocircuito folle quello che è successo recentemente: la Regione, che non poteva fare altrimenti, approva Valutazione d’impatto ambientale (Via) e Autorizzazione integrata ambientale (Aia) con una delibera che mette la società Scarlino energia in condizione di riprendere a bruciare rifiuti adempiendo alle prescrizioni. Politici e amministratori locali, in attesa di un’altra sentenza successiva, intimano alla Regione di ritirare la delibera che a norma di legge non poteva che dare, minacciando rotture politiche e ulteriori ricorsi. La Regione nel frattempo, per correre a sua volta dietro ai comitati della piana fiorentina, rinuncia a realizzare l’inceneritore di Case Passerini (Fi) che doveva servire la Toscana centrale. Chiaramente facendo così la scelta di orientare quasi tutti i rifiuti toscani verso l’impianto di Scarlino, nel caso in cui a ottobre fosse definitivamente dato il via libera alla dotazione impiantistica. I comitati ambientali che alimentano il caos sbandierando perizie di parte, e delegittimando sistematicamente istituzioni pubbliche terze come Arpat, Asl e Ars, interpretandone liberamente relazioni e ricerche. Il Pd provinciale (quel che ne resta) che per salvare la pelle apre il fronte con il Pd regionale (quel che resta). Centrodestra e M5S si godono lo spettacolo nella certezza di lucrare consensi senza sporcarsi le mani.
Sullo sfondo – ma dovrebbero essere tutte questioni in primo piano – le politiche di gestione dei rifiuti e il diritto di una società privata di esercitare la propria attività d’impresa, se autorizzata, peraltro nel rispetto di normative europee e nazionali sulla gestione dei rifiuti. Così come la sopravvivenza dell’area industriale del Casone, uno dei pochissimi polmoni produttivi e occupazionali di dimensioni apprezzabili rimasti in provincia di Grosseto, che viene messa in discussione dal comitatismo professionale.
Il nostro “armageddon” locale arriverà a ottobre. Se il Tar dirà no, tutti faranno finta di aver vinto e i problemi della gestione integrata del ciclo dei rifiuti marciranno in tutta la regione. Se il Tar dirà sì, tutti avranno un alibi per dire che ci hanno provato e che i giudici sono conniventi coi poteri forti dell’economia. In ogni caso, ancora una volta, a dirimere le questioni politiche saranno i giudici perché la politica si sarà dimostrata completamente inadeguata. E il “popolo” continuerà ad concedersi l’attenuante per votare incapaci di nuova generazione.