La spazzatura ci seppellirà, nemmeno poi tanto metaforicamente. La guerra in corso per il controllo di Sei Toscana – il gigante commissariato che gestisce il ciclo integrato dei rifiuti nelle province di Grosseto, Siena e Arezzo – arriva nel momento peggiore e non promette niente di buono. Con la politica, senza distinzione di schieramenti, come al solito incapace di una visione e condizionata dagl’interessi di bottega, mentre i soci privati sono ventre a terra impegnati a tessere strategie per il controllo futuro della società. Nel mezzo, tanto per cambiare, le persone comuni, che si accorgono dei problemi quando il cassonetto non viene svuotato o aumenta la tariffa di smaltimento.
Domenica 20 novembre 2016 il #tiromancino titolava: “scoppiata una guerra, la guerra del sudicio”, prevedendo con poca fantasia un bel pezzo di quel che fatalmente sta succedendo.
Tralasciando le indagini in corso sulla turbativa d’asta nell’assegnazione della gara che a suo tempo vide vincitrice Sei Toscana, che solo il divino Otelma può prevedere quale esito avranno, il tentativo di questo #tiromancino è quello di offrire una lettura “culturale” di questa intricatissima vicenda. Ché addentrarsi nei meandri della ricostruzione politico-giudiziaria-societaria è operazione improba in questa sede.
Chi di populismo ferisce di populismo perisce. Quello dei rifiuti non sarà un gioco a somma zero. Ci saranno vincitori e vinti. I primi (una parte politica, quale che sia) vinceranno per un breve periodo, i secondi (la “ggente”) perderanno nel lungo. L’errore primigenio è aver inseguito negli anni scorsi i demagoghi dei “rifiuti zero”, i sostenitori del modello salvifico della raccolta differenziata spinta porta a porta, gli artisti del riciclo totale dei materiali e gli esorcisti dell’incenerimento. Cosa che ha portato a una sequela impressionante di errori strategici rispetto ai quali oggi inevitabilmente arriva il conto salato. Dall’ecotassa per il mancato raggiungimento della quota minima di differenziata, ai troppi rifiuti indifferenziati, o peggio differenziati, che ancora finiscono in discarica. Passando per il mancato recupero e riciclo dei materiali. Fino, nell’obsoleta logica del no totale all’incenerimento, ad aver tenuto l’inceneritore di Scarlino fuori dal sistema pubblico. Ritrovandosi oggi un impianto in bilico e a gestione privata, che a prescindere da come andrà a finire, rimarrà determinante per non trasferire a costi elevati in altri impianti il combustibile solido secondario (CSS), derivato dalla lavorazione dei rifiuti urbani e speciali non pericolosi.
Il nuovo piano regionale e i ritardi dell’Ato Toscana sud. Oggi i 106 Comuni che compongono l’Ato rifiuti Toscana Sud hanno come recita l’adagio “il culo sudicio”. Nel senso che raggiungono appena il 38% di raccolta differenziata a fronte della media regionale del 50%, e dell’obiettivo del 70% da raggiungere entro il 2020. Naturalmente le responsabilità sono plurime ed esistono degli alibi, ma questa è la “situatia”. A fronte di tutto ciò – sempre per inseguire il populismo che sui rifiuti predica il verbo del “not in my backyard” (non nel mio cortile di casa) – l’Ato Toscana Centro ha rinunciato a realizzare l’inceneritore previsto a Case Passerini (Fi), e così l’Ato Toscana Sud si troverà probabilmente nelle condizioni di dover bruciare a Scarlino, se l’impianto sarà autorizzato, un bel po’ del sudiciume proveniente dalla Toscana centrale. La qual cosa potrebbe addirittura essere un affare, come dimostrano le decine di inceneritori sparsi per l’Europa che nel rispetto dell’ambiente e delle norme producono allegramente energia elettrica e termica dagli scarti della differenziata e dei processi di riciclo. Se incidentalmente non fosse per il fatto che nessuno, disinformato dalla propaganda di certo ambientalismo, vuole i rifiuti a casa propria pur producendone in abbondanza. In questo caso il “sovranismo” localista è contro o a favore dell’autarchia a seconda della bisogna.
La guerra fra privati. In questo contesto entropico governato dalla follia collettiva, i soci privati del gestore unico del ciclo dei rifiuti – la commissariata Sei Toscana – se le stanno dando di santa ragione per acquisire il controllo aziendale, tirandosi calci negli stinchi a suon di passaggi di pacchetti azionari e di duelli mediatici a mezzo velenosi comunicati stampa. D’altra parte il privato, si sa, guarda al sodo e la gestione dei rifiuti è un affare niente male. Affare più che legittimo peraltro. Fosse così e basta, però, non sarebbe niente. I mitici privati, infatti, pur dandosene secche hanno fra di loro una serie di rapporti incestuosi in termini di partecipazioni azionarie: per cui più o meno ognuno ha in casa propria anche il “nemico”. Sta, Sienambiente, Scarlino Energia, Cooplat, Ecolat, Estra e tutti gli altri protagonisti dell’affresco sono infatti imparentati fra loro. E non finisce qui, perché molte delle società che a suo tempo costituirono Sei Toscana hanno a loro volta nella propria compagine azionaria, maggioritari o meno, proprio i Comuni per i quali gestiscono raccolta e smaltimento dei rifiuti.
La stessa malata logica di gestione. Ricapitolando, quindi: l’Ato Toscana Sud composta da 106 Comuni delle province di Grosseto, Siena e Arezzo, più una manciata di Comuni del livornese, ha appaltato la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti a una società della quale gli stessi Comuni sono anche un po’ proprietari, e contro la quale spesso sbraitano perché il servizio non funziona. Ad onor del vero i Comuni della provincia di Grosseto, ancora una volta, fanno repubblica per conto proprio, perché in passato non sono riusciti né ad avere una partecipazione azionaria significativa in Sei Toscana (avendo venduto Coseca le proprie quote ai privati) né ad avere avuto il coraggio di acquisire il cogeneratore di Scarlino, contro il quale tutti inveiscono.
Ma ancora una volta…..non è finita qui. Perché l’ultimo colpo di genio partorito recentemente in seno all’Ato Rifiuti è stato quello di conquistare alla parte pubblica la maggioranza di Sei Toscana, approfittando della ricapitalizzazione da 18 milioni prevista per l’autunno. Obiettivo quantomeno ardito, considerate le esangui finanze degli Enti locali, e naturalmente non ponendosi nemmeno il problema di una società che teoricamente opera in regime di mercato che sarebbe in patente conflitto d’interessi….Un obiettivo sul quale, guarda il caso, convergono destra, sinistra e M5S, che non fa schifo a nessuno avere una bella azienda da poter tornare a gestire nella mai ripudiata logica consociativa dei vasi comunicanti tra politica ed economia. Tanto più – a proposito di nuovo che avanza – che il finanziamento pubblico ai partiti è stato giubilato con trasversale soddisfazione.
Tutto ciò premesso. Una domanda (ingenua) sorge spontanea: ma separare la gestione dal controllo no eh? Tipo al privato servizi e impianti, al pubblico programmazione e sanzione (vera) è troppo difficile, o troppo liberale? Perché a un occhio anche poco tecnico ma un po’ scafato diverse cose appaiono evidenti: A) troppe commistioni improprie. B) I privati fanno quel che vogliono. C) I sindaci ululano ma non sanno quasi mai di quel che parlano. E l’omo vive……..