GROSSETO – «Uscire dalla logica del mero indennizzo erogato per di più col contagocce e compiere un salto di qualità verso un nuovo modello regionale che fornisca agli allevatori nuovi strumenti di incentivo alla difesa passiva e pratiche risarcitorie reali in termini di capi già in ciclo produttivo. Altrimenti i casi tristissimi come quello della famiglia Franceschelli, allevatori da tre generazioni a Monte Labro di Arcidosso che ieri mattina, in lacrime, hanno dato l’addio alle loro 32 vacche superstiti avviate a un mattatoio pugliese per sfinimento dell’allevatore che ha visto la sua mandria decimarsi sotto gli attacchi dei lupi e adesso cessa l’attività per disperazione, sono destinati a moltiplicarsi. Ma così di sgretola un patrimonio zootecnico e rurale che per la Toscana è un fiore all’occhiello di tradizione e produttività»: a parlare così è il Capogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale Maurizio Marchetti, che da giorni segue la vicenda Franceschelli su cui ha appena presentato un’interrogazione alla giunta regionale.
«Speravo si potesse evitare questa conclusione – afferma – sono molto avvilito e all’allevatore consegno tutta la mia solidarietà e vicinanza. Ma non voglio che rimangano parole, e soprattutto voglio badare alla concretezza e non all’emotività. In questi giorni mi sono dato da fare e ho capito, credo, perché gli allevatori si sentono soli dinanzi alla strage del loro bestiame. La Regione, infatti, al momento procede per indennizzi che arrivano tardivi, pochi, non sempre; che affliggono l’allevatore di burocrazie; soprattutto indennizzi che ripagano il costo del capo ‘netto’, ma non l’investimento che su quel capo è stato fatto per portarlo a regime produttivo, né men che meno il mancato reddito di prospettiva che l’allevatore patisce dalla perdita di quell’animale».
«E dunque, che fare? Bisogna che la Regione compia un salto di qualità nell’approccio al problema. Nel 2017 ha sollecitato il governo sul Piano Lupo. Ma il lupo è specie protetta da fior di progetti. Se poi anche così non fosse, si tratta di un predatore notturno difficile da intercettare. Resta poi tutto il fronte degli ibridi, su cui già si potrebbe intervenire perché loro protetti non sono. Ma insomma: qui si tratta di rendere specie protetta gli allevatori».
«Strumenti?Ce ne sono. Intanto si potrebbe iniziare incentivando la difesa passiva. Se la Toscana mal si presta, per estensione delle attività zootecniche, all’impiego di reti elettrificate, l’impiego di cani pastori maremmano abruzzesi può essere incentivato. Franceschelli ne ha 17, tutti a suo carico, e non sono bastati. Ma questa protezione va incentivata e sostenuta. In questo modo, tra l’altro, si valorizza anche un cane autoctono come il maremmano, con la filiera di allevatori che a sua volta porta con sé e che sono le ‘vestali’ di una linea da lavoro apprezzata in tutta Italia».
«E poi il bestiame: anziché spendere per ripagare un capo, perché non si adotta la pratica avviata con successo in altre Regioni e nel Parco del Pollino? Lì si sono create mandrie e greggi ‘istituzionali’ con i quali si risarcisce l’allevatore anziché col prezzo di mercato di un capo ‘netto’, con un esemplare già in ciclo produttivo. Ci sono anche ‘cani da guardianìa del Parco’, e vengono ceduti agli allevatori in comodato d’uso. La Regione è titolare di fior di tenute. Si tratta di cambiare l’approccio al problema. Ed è ciò che noi intendiamo fare».