Le prossime elezioni a Gavorrano non diranno solo chi sarà il sindaco. Al di là del folclore da strapaese che nella corrida elettorale del piccolo centro delle Collie Metallifere gioca un ruolo di tutto rispetto, il risultato delle urne sarà indicativo della prevalenza o meno della cultura anti-industriale che pervade un pezzo della società maremmana. Con conseguenze sulle future traiettorie di sviluppo economico di un intero comprensorio: metà delle attuali esportazioni provinciali è dovuto ai prodotti chimici delle aziende del Casone di Scarlino.
Il casus belli è quello degli arcimenzionati “gessi rossi”, residuo di lavorazione del biossido di titanio prodotto nell’impianto di Scarlino dalla multinazionale Venator (ex Huntsman Tioxide). L’estrazione del pigmento del bianco (biossido di titanio) utilizzato per le vernici industriali, infatti, genera enormi quantità di gessi dal colore rosso che a norma di legge vengono poi riutilizzati sia per ripristini ambientali che come ammendante agricolo, miscelati con altre sostanze.
Questione che parrebbe noiosissima, ma che invece nella piana di Scarlino e sulle Colline Metallifere incendia alquanto gli animi. Paradigma perfetto del populismo mediatizzato che cavalca posizioni radicali, dando per scontato che la multinazionale di giornata, Venator, ha interessi torbidi a fare profitti contro gl’interessi della popolazione. Con il pregiudizio positivo a favore degl’interessi, economici anch’essi, di chi si oppone allo stoccaggio dei materiali di scarto.
Naturalmente ci sono i comitati. C’è il silenzio assordante di un bel po’ della rappresentanza del mondo dell’impresa. Lo schieramento militante “contro” di un altro pezzo di quello stesso mondo. Il cerchiobottismo imbarazzato di alcuni partiti politici impauriti dalla possibile perdita di consenso. La compiaciuta cavalcata delle paure da parte di altre forze politiche. Il canovaccio tipico della commedia dell’arte, in cui ognuno recita la propria parte nella tragica rappresentazione della politica impazzita di questi ultimi anni.
La zuffa s’è accesa intorno all’utilizzo o meno della cava della Bartolina come prossimo sito di stoccaggio dei gessi rossi, una volta che sarà esaurito l’attuale sito dell’ex cava di quarzite di Montioni (Follonica), dove i gessi vengono utilizzati per il ripristino ambientale. Nel frattempo la “Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati” ha reso noto che da alcune analisi effettuate dai Carabinieri del Noe sui gessi in questione, negli anni scorsi sarebbero emersi leggeri sforamenti rispetto ad alcuni parametri di legge. Analisi che peraltro sarebbero avvenute nel 2015, cioè a dire prima dell’entrata in vigore delle modifiche alla vigente normativa che regolamenta l’utilizzo dello scarto di lavorazione del biossido di titanio (art. 298 bis della legge 152/2006), considerato rifiuto speciale non pericoloso e quindi utilizzabile come materia “prima seconda”.
In un Paese normale retto dal principio di competenza, la cosa sarebbe abbastanza pacifica: i tecnici si pronuncerebbero sulla fattibilità o meno dell’utilizzo dei gessi rossi di Venator per il ripristino ambientale della ex cava ella Bartolina (o della Vallina), dopodiché si procederebbe di conseguenza a seconda del risultato dell’istruttoria. Naturalmente dando a tutti la possibilità di intervenire nella procedura e con l’obiettivo prioritario di salvaguardare sempre e comunque la salute umana.
No c’è bisogno di dire che le cose non stanno andando così. La questione, infatti, è diventata il pretesto per la vera guerra di posizione che nella zona nord della provincia di Grosseto si sta giocando da anni, che vede contrapposti coloro che difendono la prospettiva di un insediamento industriale strategico per lo sviluppo economico del territorio e quelli che lo vedono come il fumo negli occhi. Evocando un non meglio precisato modello di sviluppo basato sul turismo, il cui impatto ambientale – basta guardare a Follonica – è peraltro del tutto evidente anch’esso.
Al di là degli atteggiamenti da Torquemada di provincia di alcuni agitatori di folle, a cogliere il punto con una nota su facebook è stato Wiliam Capra, consigliere comunale uscente di maggioranza che purtroppo – essendo portatore sano di buon senso – non sarà in lista alle elezioni comunali del 10 giugno. In sintesi Capra, riferendosi idealmente agli assatanati oppositori dell’utilizzo dei gessi rossi per il ripristino ambientale della Bartolina, si chiede come sia possibile per un Consiglio comunale impedire un accordo fra privati che agiscano nel rispetto della legge, senza oltretutto rischiare sul piano personale una richiesta di risarcimento danni. Se Venator, in veste di produttore dei gessi rossi, e l’impresa Massai, in quella di proprietaria del sito estrattivo insieme ad altre società toscane, trovassero un accordo economico nel rispetto della normativa ambientale vigente, infatti, nessuno giustamente potrebbe opporvisi.
Questo sul piano elementare del diritto, che ad oggi dovrebbe ancora vigere. Anche se il problema di fondo ha una rilevanza socio economica che in troppi, per faciloneria, incompetenza e estremismi ideologici, tendono a sottovalutare. Solo alla Bartolina, ad esempio, per l’impresa Massai – una delle più grosse in provincia che si occupa di opere stradali – lavorano una quindicina di persone. Mentre per Venator e Nuova Solmine, che le fornisce l’acido solforico necessario al ciclo produttivo, lavorano 5-600 persone, alle quali vanno aggiunte quelle dell’indotto. A tutti questi bisognerà pur dare delle risposte, o no?
Certo, senza cedere al ricatto occupazionale. Garantendo prima di tutto la salute delle persone e rispettando le norme di tutela ambientale. Ma sforzandosi di trovare una soluzione realistica e percorribile, no di certo provandole tutte per farla fallire. Come con ogni evidenza sta succedendo.
Anche perché l’industria è senza dubbio brutta, sporca e cattiva, le multinazionali guardano solo al profitto e se ne fottono delle persone, ma anche i portatori degli altri interessi economici che gli si contrappongono sotto mentite spoglie non sono filantropi disinteressati. E a ameno di non pensare che il futuro di questa terra sia l’economia dei “fiori di Bach”, qualcuno dovrà prendersi in collo l’onere di pronunciarsi in modo affidabile sul modello di sviluppo. Perché tra occupati diretti e indotto la sola area industriale del Casone vale quanto tutti i posti di lavoro a tempo indeterminato (1.614 persone) nel settore della ristorazione in provincia di Grosseto. Con livelli retributivi molto più alti. E a proposito di modelli di sviluppo, bisogna anche ricordare che nella nostra realtà i contratti a tempo indeterminato della ristorazione sono solo il 45,3% del totale, a fronte di una media regionale nello stesso comparto del 68,7%. Ma queste per gli economisti dei fori di Bach saranno sicuramente quisquiglie, pinzillacchere……