Si addensano nubi minacciose sulla sanità maremmana. E poiché il servizio sanitario è a tutti gli effetti assimilabile a un “bene comune” c’è di che essere preoccupati.
Il risultato delle recenti elezioni politiche ha impresso l’accelerazione a una dinamica che in filigrana era già leggibile da un po’. In politica i tempi si accorciano o si dilatano a seconda del sentiment prevalente, e non c’è dubbio che il successo del centrodestra comporterà un’offensiva anticipata in vista delle elezioni regionali previste nel 2020.
Uno dei terreni sui quali si combatterà la battaglia non potrà che essere quello della sanità. Sia per il suo valore simbolico sia per l’impatto reale che questa ha sulla qualità della vita delle persone. Il rischio più concreto di tutti è che questo si traduca in una rincorsa demagogica al consenso facile, cavalcando i problemi per catturare l’attenzione dell’opinione pubblica oppure inseguendo le lobby interne alla sanità. Che da sempre sono abili nel promuovere sé stesse in connivenza con la politica, di qualunque colore essa sia. Battaglia che naturalmente eluderebbe le questioni davvero rilevanti, che riguardano la capacità reale di programmazione e gestione dei servizi sanitari, ospedalieri e territoriali.
In quella che minaccia di essere una rincorsa a chi la sparerà più grossa, è altrettanto lapalissiano che a rimetterci sarebbero le persone che di quei servizi hanno bisogno. E che, per inciso, rischiano di essere strumento inconsapevole della propaganda dalla quale dovrebbero essere le prime a guardarsi.
Provando a semplificare uno dei temi più appassionanti e difficili sui quali accapigliarsi. In tutto il mondo avanzato è evidente la crisi della sanità universalistica, perché precarizzazione del lavoro, evasione fiscale e lavoro nero sottrggono risorse al finanziamento dei servizi sanitari, mentre invecchiamento massivo della popolazione e accelerazione delle innovazioni tecnologiche e farmaceutiche fanno lievitare i costi. In Italia poi, tenendo conto del gigantesco debito pubblico, la cosa è aggravata dal fatto che per anni il finanziamento della spesa sanitaria è cresciuto molto più lentamente della cosiddetta inflazione sanitaria (di per sé più alta di quella generale). Per cui, in definitiva, mancano le risorse. A questo si aggiunge il fatto che c’è una sconvolgente differenza di performance gestionali fra le regioni, e spesso anche al loro interno; ivi compresa la Toscana.
Per trovare la quadra, nella nostra regione negli anni scorsi si è deciso di riformare il sistema sanitario puntando sul modello per “intensità di cura” e sull’implementazione della medicina territoriale d’iniziativa: quella che ti “viene a cercare” per prevenire la cronicizzazione delle patologie, per capirsi. Modelli che funzionano egregiamente, ma non omogeneamente, in molte parti del mondo: dagli Usa al Canada, dall’Inghilterra ad altri Paesi europei.
Qui da noi, in terra di Toscana come in Maremma, il tentativo ha cozzato contro le lobby sanitarie – così affezionate alle proprie rendite di potere, a partire da quella dei primari, ma non solo – che hanno boicottato in ogni modo l’intensità di cura. E contro inefficienze e scarsità di risorse che, ad esempio, hanno ritardato in modo inaccettabile la realizzazione delle “case della salute”, fulcro di quella che dovrebbe essere la nuova medicina territoriale e d’iniziativa. In questo caso con la complicità colpevole delle lobby dei medici di medicina generale e dei farmacisti. Perché se c’è un dato che un osservatore attento legge ad occhio nudo è che rispetto al pericoloso stallo della sanità, le colpe non sono solo ascrivibili alla politica ma a tutte le principali componenti del sistema. Incapaci per egoismi settari di dialogare fra loro per salvare la baracca comune, magari tenendo conto del contesto di crisi. Compreso un bel pezzo del sindacato che troppo spesso ha ragionato esclusivamente da corporazione, guardando solo al proprio segmento professionale senza tenere conto del fatto che la sanità è un organismo articolato.
Un altro problema che incide negativamente sull’andazzo generale è la differenza di comportamento, e la conseguente iniqua disparità di trattamento, delle ex aziende sanitarie e ospedaliere provinciali oggi riunite sotto l’egida di quella che viene definita la “Aslona” (Toscana sud est). Per cui, inopportunamente, la ex Asl 9 che in passato era stata una di quelle più virtuose nel gestire il processo di cambiamento, si trova oggi a doversi far carico dei problemi di budget di Siena, Arezzo e dell’azienda ospedaliera senese. Cosa che, a fronte del necessario esercizio di responsabilità e sangue freddo, rischia di degenerare nella balcanizzazione dei rapporti fra i territori dell’Azienda sanitaria, e di contrasto aperto tra Regione e Maremma. Con un torneo rusticano di proclami, intimidazioni e ritorsioni che minaccia di andare in crescendo fino al 2020.
Il risultato di questi determinanti di caos – per parafrasare il gergo epidemiologico – è che oggi la sanità appare ai cittadini molto più orientata alle diatribe politico/lobbistiche che alla salute delle persone. Così che il dibattito volge al surreale con discussioni sull’incremento dei posti letto in un setting ospedaliero piuttosto che in un altro, ricentrando in modo obsoleto l’attenzione solo sulle attività ospedaliere e ignorando i servizi territoriali: da quelli di continuità assistenziale a quelli di prevenzione. Un grande agitarsi di apprendisti stregoni che parlano di cose che non conoscono aizzati da consiglieri interessati interni al sistema.
Nel bailamme preelettorale che andrà incrementando con l’avvicinarsi delle elezioni regionali, a passare inosservate saranno ovviamente le responsabilità individuali, politiche e professionali. Perché al di là di ogni ragionevole dubbio, se il sistema sanitario maremmano registra inceppamenti evidenti questo dipende molto – com’è inevitabile che sia – dalle capacità di chi fa le scelte quotidianamente. Ogni macchina complessa che si rispetti, infatti, funziona nella misura in cui c’è qualcuno che al momento giusto fa la scelta giusta: di indirizzo, programmazione, gestione. Sul piano politico ma anche su quello professionale. Responsabilità che sarebbe opportuno si cominciasse a cercare con la lampada di Diogene, sbarazzandosi delle logiche di fedeltà politica, personale o di gruppo d’interesse che troppo spesso governano i rapporti di potere all’interno delle organizzazioni.
Rebus sic stantibus, come direbbero quelli “istrutti”, sarebbe bene che almeno le persone di buona volontà si fermassero a riflettere sul rischio che corriamo tutti quanti, come maremmani ma anche in quanto Italiani. Ognuno nel proprio ruolo di cittadino potenziale paziente fruitore del Servizio sanitario. Se nei prossimi mesi e anni la salute diventerà terreno di scontro politico senza una bussola condivisa, infatti, le cose precipiteranno e sul nostro territorio i problemi che oggi sembrano grandi diventeranno enormi.
Per non considerare il fatto che la confusione demagogica che si addensa minacciosa sulle nostre teste, avrà un altro effetto paradossale. Quello di distrarre il “popolo” rispetto alla vera posta in gioco: quella che al tavolo da poker della politica e degli affari si gioca chi vuol difendere e far funzionare la sanità pubblica universalista contro chi ha interesse a promuovere l’ingresso massiccio della sanità privata nei segmenti di mercato a più alto profitto, lasciando al pubblico quelli dove si spende molto e non si guadagna niente. Perché, alla fine, dietro alle cortine fumogene, questa sarà la partita vera. Partita che peraltro è già iniziata da tempo.