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Ma alla fine della fiera, conta più il fatto che gli spacciatori siano marocchini o che a Grosseto si consumi un fiume di cocaina, eroina, crack e anfetamine di varia natura? Perché a leggere certe dichiarazioni politiche sembra che l’oggetto del contendere – in un afflato propagandistico degno di miglior causa – sia la cittadinanza degli spacciatori. Sottovalutando il fatto che in città, ma anche in provincia, almeno a pelle il consumo di droghe pesanti sia in drammatica ascesa. D’altra parte, è molto più facile fissare il dito che volgere lo sguardo alla luna.
Certo gli accoltellamenti sulle mura medicee o nei loro paraggi non piacciono a nessuno. E soprattutto spaventano a morte perché c’è il rischio di trovarcisi coinvolti. Ma, volenti o nolenti, questo è un “banale” problema di ordine pubblico. Tanto banale che è complicato risolverlo con la bacchetta magica o con gli slogan. In qualunque parte d’Italia o del mondo. Anche se, va detto, le forze di polizia a Grosseto più di qualche successo lo hanno messo in fila, con l’arresto di diversi spacciatori.
Ad ogni modo il problema non sta nella carta d’identità di chi spaccia, né in quella dei fornitori o dei consumatori. Se a spacciare non ci fossero i marocchini, ce ne sarebbero di altre nazionalità. Poi non facciamo gl’ipocriti, please. E diciamola tutta: la stragrande maggioranza dei consumatori sono giovani italiani che non vengono traviati dai cattivi extracomunitari, ma aderiscono a stili di consumo degli stupefacenti traversali alle cittadinanze. Casomai influenzati dall’appartenenza generazionale o da subculture transnazionali spesso veicolate sul web attraverso video, musica, fumetti e falsi miti edificati su messaggi a volte subliminali, a volte espliciti. Semplificando un po’: la “cultura dello sballo” come status symbol che insieme alle droghe esalta il consumo dell’alcool.
Invettive, giaculatorie e geremiadi di circostanza ad ogni rissa o accoltellamento, pertanto, sono forse gratificanti, magari politicamente redditizie, ma sostanzialmente ininfluenti sulla realtà. Anzi, poiché, focalizzano l’attenzione sulla cittadinanza degli spacciatori, contribuiscono solo a creare stigmi razzisti che a loro volta generano ostilità e violenza latente. Premesse buone per “armare” la mano di qualche esaltato che prima o dopo penserà di essere investito del ruolo di giustiziere. Legittimato ad agire in vece delle forze dell’ordine.
Non è benaltrismo. È logica. E la logica richiederebbe prima di tutto di conoscere per provare a trovare le soluzioni. Singolare a questo proposito che nessuno di quelli che da mesi urlano l’italica indignazione esibendosi in ronde che durano lo spazio di un selfie per i social, si sia preoccupato di informarsi dal Sert sull’effettiva dimensione del consumo di droghe in città, delle motivazioni e delle modalità di consumo fra i giovani. Oppure che non si siano chiesti se c’è o meno un fenomeno di organica infiltrazione mafiosa – mafia = made in Italy – in provincia di Grosseto, dietro al fiume di droga che sembra arrivare con regolarità in Maremma. Anche considerato il fatto che siamo la terza provincia della Toscana per presenze turistiche. E che a volte ci sono incroci strani che danno sorprese, come sta avvenendo a Ostia con le indagini sul clan Spada.
Perché, forse, se c’è una ragionevole speranza di arginare lo spaccio e quindi il consumo di droga, questa risiede nella presa di coscienza di portata e qualità del fenomeno. Arrestati tutti gli spacciatori marocchini (non tutti i Marocchini sono spacciatori), infatti, arriverebbero quelli tunisini, poi albanesi, rumeni, e infine calabresi, siciliani o addirittura “braccagnini”….Tutto questo – non sottovalutando in alcun modo il tema dell’ordine pubblico in centro – per dire che l’allarmismo politicizzato non produce nessun risultato. Come dimostra proprio la campagna elettorale per le amministrative di un anno e mezzo fa a Grosseto, nel corso della quale si alimentava l’idea che si vivesse nel Bronx per promettere soluzioni miracolistiche a problemi dei quali oggi si lamenta la degenerazione. Visto che nel frattempo le cose sono peggiorate.
Sul contrasto a spaccio e consumo di droghe ognuno ha le proprie idee. E quella di chi scrive è che sostanzialmente considerarne illegale il consumo faccia solo il gioco della criminalità organizzata e ingrassi il gigantesco business che ruota intorno allo spaccio. Posizione senza dubbio minoritaria. Detto ciò, sul piano locale, sarebbe auspicabile ci fosse una condivisione di massima almeno su alcune cose da fare alla svelta. Invece di affidarsi ai bravi ragazzi delle ronde Dop (denominazione d’origine politica).
Tipo realizzare una seria indagine sociologica sul consumo di droga e alcool a Grosseto e provincia. Organizzare nelle scuole una capillare campagna di informazione e prevenzione, rinunciando alle sceneggiate coi cani antidroga dentro le classi. Mettere in campo unità di strada con operatori specializzati nell’interlocuzione con i gruppi informali. Realizzare le cosiddette “stanze del buco” per garantire a chi si droga migliori condizioni igieniche e di sicurezza, evitando che le siringhe colonizzino parchi pubblici e angoli di città.
Nel frattempo qualche passo avanti all’insegna del buon senso sul controllo del territorio sembra si cominci a fare. Concluse le esilaranti ronde dei butteri sulle mura, con annesso operatore ecologico per rimuovere gli escrementi di cavallo, seguite da quelle coreografiche di marziali fascisti del terzo millennio, si è capito – meglio tardi che mai – che è utile affidarsi alle forze dell’ordine, supportate a latere dai vigili urbani. Per il resto meglio riporre fiducia nelle indagini, per capire se davvero città e provincia siano diventate o meno il terminale di un flusso regolare di droghe, dietro al quale ci sia un’organizzazione criminale o un cartello.
Negli anni 80 Grosseto è stata una delle capitali italiane del consumo di eroina. Auguriamoci che quei tempi non siano tornati con nuove e devastanti sostanze stupefacenti. E non scambiamo gli spacciatori marocchini, o di ogni altra nazionalità, per la causa. Ché sono solo un effetto. Sennò si finisce per fare la figura dello «stolto che guarda il dito, quando il saggio indica la luna».
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