E vissero tutti felici e contenti. O meglio. Fecero tutti buon viso a cattivo gioco, ognuno per accaparrarsi la propria fettina di gloria. Perché, ovviamente, manco a dirlo, tutti avevano ottenuto quel che volevano.
La vicenda dell’autostrada tirrenica può essere vista da tanti punti di vista, tutti legittimi. Compreso quello di chi, in preda allo sfinimento per una vicenda kafkiana, ha deciso di accontentarsi di una soluzione pur che sia. Perché piuttosto che niente, è meglio piuttosto. Opzione riduzionista del danno, opposta e contraria a quella trionfalista.
La verità, però, è che la cesura della provincia di Grosseto nella rete autostradale nazionale continuerà anche in futuro ad essere tale, con circa 160 km di superstrada dove non si potranno superare i 110 all’ora (forse i 90). Zona franca dall’odiato pedaggio, spauracchio di un territorio che continua a ragionare come il sud negli anni 70, quando non transigeva sulla gratuità della Salerno-Reggio Calabria. Così che oggi diversi maremmani si autorappresentano con inconsapevole masochismo come negletti che questuano una regalia per sottosviluppo manifesto. D’altra parte il problema vissuto come centrale è quello di non far pagare il pedaggio a qualche centinaio di pendolari che si muovono all’interno della provincia (diversamente tutelabili), piuttosto che velocizzare il più possibile i collegamenti per connettersi coi motori produttivi della costa e da questa verso l’interno. Attraendo investimenti che generino buona occupazione ed economia. Perché nel mondo reale, ad esempio, raggiungere Pisa (e il suo aeroporto) in 50 minuti invece che in un’ora e venti, fa la sua differenza.
C’è poi un altro mito che andrebbe sfatato. Per quanto scomodo sia. Quello del risparmio di suolo nella contrapposizione tra superstrada e autostrada. Perché la differenza tra un nastro d’asfalto di 22 metri (la nuova superstrada Grosseto-Siena), e uno di 24 metri (l’autostrada), non cambia davvero le carte in tavola, né porta vantaggi ambientali apprezzabili. Tanto più che, com’è ovvio, eliminando gl’ingressi a raso dell’Aurelia trasformata in superstrada, si dovranno fare svincoli e complanari come se l’autostrada ci fosse.
Questa visione capziosamente romantica dell’arteria “non autostradale” che lascerebbe illibato il nostro territorio – che, bisogna ammetterlo, tocca le corde emotive di molti maremmans – è un’ominosa operazione di storytelling “ambientaloide”. Funzionale esclusivamente agli interessi di benestanti proprietari di ville e villoni innamorati della propria residenza di campagna, e di una élite ambientalista a suo agio nel maneggiare i mezzi di comunicazione di massa, quanto sostanzialmente premoderna. Tutti gli altri, quelli che quotidianamente sudano e smoccolano, avrebbero invece solo da guadagnare da un’infrastrutturazione organica della costa grossetana. Che se continua il trend in itinere, bene che vada, rimarrà un giardino all’italiana che si popola nel periodo estivo per precipitare repente nell’anonimato al cambio di stagione.
Anche se il dado è tratto, si fa per dire dopo quarant’anni di ruzzolo del dado nel bicchiere della politica, è utile quindi un esercizio di stile su come sarebbe potuta andare. Solo che un intero territorio con le sue rappresentanze associative e politico istituzionali avesse remato nella stessa direzione, invece di scambiarsi legnate sul capo per motivi di schieramento.
Perché se è vero che il problema di Sat era quello di trovare i quattrini – prima due miliardi di euro e passa, poi in una versione soft 1.2 – per un intervento costoso e poco redditizio, con difficoltà a realizzare le complanari, è anche vero che i circa 600 milioni promessi ad Anas per adeguare la quattro corsie da Rosignano ad Ansedonia (forse al Chiarone) potevano essere pretesi per sistemare complanari e viabilità secondaria a servizio del traffico locale e pendolare. Lasciando a Sat l’onere di realizzare una moderna autostrada a basso impatto, più veloce, sicura e con un fondo stradale di qualità migliore.
La Maremma avrebbe avuto una rete viaria efficiente, ovunque nel mondo precondizione per lo sviluppo. E cosa non disdicevole, la realizzazione di tutto questo avrebbe portato per qualche anno ossigeno a un tessuto economico esangue.
Invece, la visione da “piccola patria” ha portato con sé la recalcitrante ambizione di conservare senza evolvere, offrendo a Sat – come qualcuno ha detto – ogni pretesto buono per fare il meno possibile.
Ammesso e non concesso che Governo e Cipe stanzino i soldi promessi entro il 31 dicembre. Prepariamoci nei prossimi anni a sacramentare nelle nostre trasferte lungocosta in direzione Roma o Pisa. Ostaggi delle lentezze estenuanti di Anas che rammenderà a pezzi e bocconi i 160 km di un nuovo calvario viario, per avere nei prossimi trent’anni una quattro corsie di “vecchio conio”, disseminata di autovelox per rimpinguare le casse dei Comuni costieri. Nel frattempo altri territori correranno e guadagneranno in competitività. In compenso, conclusa la superstrada gratuita, ci ritroveremo un traffico autostradale di Tir attirati dall’assenza di pedaggio, senza avere un’autostrada.
Il vecchio collo di bottiglia dell’Aurelia diventerà un collo di bottiglione. E tutti quanti non vedremo l’ora di varcare i caselli di Rosignano o di Ansedonia, sperando che gl’inveleniti Vip capalbiesi non riescano a spostarlo al Chiarone. Per passare finalmente dall’analogico al digitale.