GROSSETO – “Muamer Sulemanovski – spiega il segretario provinciale della Cgil, Claudio Renzetti – era un ragazzo macedone che lavorava in Italia. Era orfano di padre, morto nelle nostre macchie per un incidente sul lavoro come boscaiolo. Anche a lui è toccata la stessa sorte del babbo, ma alla guida del furgone con il quale lavorava nella notte per consegnare i giornali alle edicole”. Renzetti commenta così l’ultima tragedia del lavoro in Maremma.
“Qualcuno trova una differenza rispetto a un morto sul lavoro ‘italiano’? Bisogna avere il coraggio e la coerenza di partire da qui, per richiamare tutti quanti all’uso del buon senso e al rispetto per le persone. Qualunque sia la loro razza, nazionalità o religione. Ma bisogna andare oltre e capire anche le cause di quello che giovedì notte è successo sull’Aurelia, all’altezza del bivio di San Donato. Perché i morti sul lavoro sono tornati ad aumentare nonostante la disoccupazione continui a crescere. E perché, in questo caso, appare un po’ forzata la coincidenza che entrambi i mezzi coinvolti nell’incidente mortale – il furgone guidato da Muamer e il camion di Sei Toscana che era guasto sulla carreggiata – siano andati a fuoco 14 ore dopo l’incidente, all’interno dell’area di stoccaggio dov’erano stati portati.
Per questo, ci aspettiamo che chi ha la responsabilità delle indagini vada fino in fondo e arrivi presto a conclusioni inoppugnabili. Con equilibrio e nel rispetto dei diritti di tutti.
D’altra parte, purtroppo queste tragedie sono la tristissima conferma di quello che da anni come Cgil denunciamo inascoltati e speso derisi. Con il pretesto della crisi la soglia della dignità del lavoro è stata abbassata fino a rasentare terra. Con una manovra a tenaglia che ha messo nell’angolo i lavoratori più giovani, deboli e meno qualificati: precarizzazione e abbassamento delle tutele contrattuali, da una parte. Recupero di margini di utile abbattendo gli standard di sicurezza, dall’altra. Nella pia illusione che l’incremento di competitività passasse per la dequalificazione del lavoro. Peccato che di mezzo ci siano le persone. E i morti sul lavoro.
Rispetto alla inaccettabile morte del giovane Sulemanovski, poi, bisogna avere la forza di dire in modo netto che troppo spesso in questi anni gli stranieri che lavorano onestamente e duramente nel nostro Paese, specialmente extracomunitari, sono stati confinati in uno stereotipo negativo e ghettizzante. Nonostante siano parte integrante del nostro Paese e del mondo del lavoro.
Magari qualcuno organizzasse una marcia su Roma per riprendere il tema dei diritti, quelli veri e negati. Invece di provare a organizzare grottesche e lugubri rievocazioni storiche”.