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Cosa può inventarsi un povero cristo per farsi leggere nei giorni di Ferragosto sul ilGiunco.net? Quand’anche il più tetragono stakanovista della lettura sdegna qualsivoglia argomento? Perché per quanto possa calarsi compunto nel ruolo dell’austero ripudiator di stereotipi, il cliché della dilapidazione del tempo, almeno a mezz’agosto, è come il richiamo della foresta. Irresistibile.
Di che scrivere, dunque? Me lo chiedo da giorni angosciato e in ansia da prestazione. Lo ammetto.
Avevo pensato di cimentarmi su negritudine, Ong e l’idea di noi come Paese che pare si stia affermando anche qui nella multietnica Maremma. Che faceva così ‘onco’ (schifo, ndr) da richiamar genti d’Abruzzo, Sardegna, Casentino e Veneto per tentare d’addomesticarla. Terra aperta ai venti e ai forestieri, una volta. Oggi ostaggio d’improbabili sovranitudini (?) e omissioni amministrative. Poi mi sono immaginato a Ferragosto fosse troppo anche per un volontario di Emergency. E sono battuto in ritirata.
Anche gl’incendi, mi sono detto, sarebbero un bell’argomento su cui tornare. E poi stare sull’attualità è da sempre una delle regole auree del giornalismo. pur coltivando velleità da editoriale o elzeviro. “Le fiamme del populismo” o ”La demagogia va a fuoco”, avevo pensato d’intitolarlo. Ma hanno fatto tutto da sé, e in pochi giorni il giochino è venuto alla luce. Cosa dire di più. E poi, onestamente, parlare di foco in giornate tanto calde e afose, non è la miglior operazione di captatio benevolentiae nei confronti di un potenziale svogliato lettore. Si rischia di venire sui coglioni prima c’abbia ghermito l’attacco del pezzo. Argomento censurato.
In un momento d’ispirazione e perversione, m’era anche balenata l’idea di parlare di ‘morte’. Sì sì, di morte. Di quella, in particolare, che diventa notizia, celebrazione retorica dei defunti. Pretesto per narrazioni che scimmiottano il lirismo dell’antologia di Spoon River. Perché ultimamente ho notato che la stampa locale punta decisa sul filone necrologico, con un certo compiacimento necrofilo. Praticamente basta morire per diventare la ‘celebrità’ che non si è mai stati. La stampa scrive quel che la gente vuol leggere? La spettacolarizzazione della morte risponde al nostro bisogno di esorcizzarla? Argomento affascinante che si presta ad appassionanti elucubrazioni. Però, porcaputtana, chi vuoi che ti legga una roba del genere, palle al vento su una spiaggia affollata? Oppure incremata alla ricerca della migliore esposizione solare? Sarebbe un pullular di posture scaramantico-apotropaiche. Siamo seri, dai!! Primum vivere.
Di politica. Bisognerebbe parlassi di politica, possibilmente locale. Che comunque una platea mica piccola di affezionati, checché se ne dica, la politica ancora ce l’ha. Inspiegabilmente, nonostante i protagonisti. Perché alla fine il richiamo ancestrale a dividersi in tribù funziona: tutti Guelfi e Ghibellini. Figurati se qualche lettore non lo racimolo…..Poi, però, ho rammentato che col #tiromancino m’ero ripromesso di stare alla larga dalla politique politicienne in salsa maremmana. Mica perché non mi piacerebbe, figurarsi! No, il punto è un altro. È che la figura dell’aruspice politico è un po’ una cosa di nicchia, e #tiromancino – almeno nella petizione di principio – ambirebbe a sconfinare su terreni incolti. A sviscerare temi trasversali, non incasellabili. Il che non esclude possano indossare la gualdrappa dell’interesse politico in senso lato. E d’altra parte la scelta del titolo della rubrica mette le cose in chiaro su quale sia la matrice culturale del tapino redattore. Insomma, Ferragosto non è il momento propizio per cambiare direzione. Politica accantonata.
Clima & Meteorologia = global warning (riscaldamento globale). Tema entusiasmante, a cavallo tra il catastrofico e il politicamente corretto. Divisivo sulle soluzioni da adottare ma trasversale quanto a interesse e ansie che suscita nelle persone. Almeno a chiacchiere. Declinabile alla grande in un territorio come la Maremma, arsa dalla siccità quanto vocata ad agricoltura e turismo. Una cuccagna argomentativa, qualche centinaio di lettori assicurato……Poi, però, m’è venuto in mente che qui, in Maremma, opera con profitto mediatico uno dei maggiori esperti di clima del Paese tutto. Esegeta esimio della ‘corrente a getto’. Che dalla personale seguitissima pagina facebook ci spiega quasi quotidianamente che il mainstream meteorologico mondiale non c’ha capito una cippa. Comprese le 13 agenzie federali statunitensi che hanno appena redatto un mega rapporto, alquanto allarmistico sulle sorti del pianeta. Il riscaldamento globale, in sintesi estrema, è una bufala. Tutto rientra nei normali cicli meteo. Anzi si va verso un progressivo raffreddamento dell’orbe terraqueo. Una simil glaciazione, insomma. Cosa potrei argomentare, non avendo nemmeno lontanamente frequentato la meteorologia? Anche il sottoscritto ha un briciolo d’orgoglio. Come dicono i senesi in occasione del Palio: meglio ultimi che secondi. Argomento cassato.
M’era rimasto un estremo argomento frequentabile, anche se controverso e complicato da snocciolare. «La Rava & la Fava». Che detto alla toscana sarebbe «il poco e l’assai». Forse non è conosciuto, ma «la rava e la fava» è una locuzione gergale di origine nordica, pare lombarda, che grossomodo significherebbe «raccontare le cose per filo e per segno, spesso con abuso di particolari non richiesti e ridondanti», di norma utilizzato per creare confusione e disperdere il significato iniziale in un mare di parole che portano poi al nulla. Insomma un concetto eminentemente filosofico, a metà strada tra l’ontologia, l’euristica e l’epistemologia. Chiave di lettura gnoseologica per analizzare con approccio scientifico le complesse umane vicende. Il fatto che «la rava e la fava» siano state rese pop dal refrain dalla canzone di Enzo Jannacci e Paolo Rossi “I soliti accordi” – in concorso a San Remo nel 1994 – nulla toglie alla profondità dei concetti filosofici che sottende. Chiaro, tuttavia, quanto un articolo che strologasse di filosofia a Ferragosto, rischierebbe di trasformarsi nella classica strada lastricata di buone intenzioni che porta diritta all’inferno. Per quanto me ne dolga, quindi, ho dovuto ancora abbozzare.
A questo punto, nonostante tutto, mi rendo conto d’aver scritto più o meno le mie solite 6500 battute. Non tutte le ciambelle riescono col buco. È risaputo. Così come sarebbe auspicabile non prendersi troppo sul serio. Io c’ho provato.
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