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L’incendio di pinete e macchia mediterranea è il nostro ‘terremoto’. Non è un’iperbole dialettica. Nel rispetto più ossequioso per chi ha sentito tremare la terra sotto i piedi, e fermo restando che sarebbe sconcio fare una graduatoria della gravità dei disastri naturali, per la Maremma la distruzione portata dal fuoco è molto più che un evento calamitoso. E il fatto che per fortuna non ci siano stati morti, com’è successo in Portogallo, non ne sminuisce la drammaticità dell’impatto.
Se c’è infatti un elemento sedimentato nell’identità collettiva dei maremmani, questo è senza dubbio il paesaggio connotato dalla macchia mediterranea e dalla pineta litoranea piantata dai Lorena. Veri e propri tòpoi culturali, più solidi e veritieri della retorica arcadica del buttero, del cinghiale e del brigante Tiburzi. Fra l’altro, proprio a questo paesaggio sono dovute in buona parte le fortune dell’economia turistica. Che ha garantito benessere a tutti.
Per questi motivi la devastazione portata due anni fa dall’incendio nella pineta di Marina di Grosseto non è semplicemente un problema del comune capoluogo, né quella del recentissimo incendio della macchia delle Bandite un problema circoscritto ai Comuni di Castiglione della Pescaia e di Scarlino. E lo stesso vale per altre zone della provincia. La questione, pertanto, riguarda l’intero territorio della Maremma grossetana. E a maggior ragione va affrontata condividendo fra tutti gli stakeholders [portatori d’interessi] pubblici e privati la responsabilità della riforestazione, così come di una strategia di prevenzione che salvaguardi dagli incendi il prezioso bene collettivo del patrimonio forestale provinciale. Evitando di trincerarsi dietro l’alibi di competenze istituzionali, confini amministrativi e miopi egoismi economici. Da Follonica a Monte Argentario, fino a Santa Fiora e Pitigliano.
I 160 ettari andati in fumo tra Castiglione e Scarlino, per paradosso, potrebbero essere l’occasione da cogliere in positivo per svoltare rispetto all’emergenza estiva degli incendi. Più che un’emergenza, oramai, un rischio strutturale. Perché il global warning [allerta climatica] non è un artificio della meteorologia.
Da questo punto di vista, Stato, Regione, Provincia, Comuni, consorzi forestali, di bonifica e Acquedotto del Fiora, hanno in capo gli stessi identici oneri del mondo dell’impresa, delle associazioni di categoria e dei singoli cittadini. Perché sarebbe esiziale e indecoroso lo scaricabarile sia rispetto all’assunzione di impegni economici, che saranno rilevanti, sia all’individuazione di soluzioni concrete associate alle conseguenti responsabilità. Equivarrebbe forse a bestemmiare in chiesa, proporre la destinazione annuale di una quota della tassa di soggiorno di tutti i Comuni a un grande progetto di riqualificazione del patrimonio forestale provinciale?
Così per dire. Andrebbe anche depotenziata la pantomima delle dichiarazioni a effetto, ma ininfluenti sulla realtà. Dalle invettive isteriche sui social contro i piromani, agli slogan fatui della politica: dai droni all’acquisto dei Canadair al posto degli F15, fino alle ronde di improbabili e marziali ‘maschioni antipiromane’ che pattugliano le pinete. A certe amenità non va infatti data considerazione, né riconosciuta dignità argomentativa che non hanno.
Piuttosto meriterebbe ascoltare chi certi fenomeni li conosce sulla base di competenze specifiche. Perché descrivere i fatti è relativamente facile a chiunque. Più complicato individuare soluzioni realistiche, auspicabilmente senza l’assillo del consenso effimero.
In Toscana qualche competenza c’è. Come nel caso del Lamma, il consorzio tra Regione Toscana e Consiglio nazionale delle ricerche [Cnr], che si occupa di meteorologia e climatologia, telerilevamento e monitoraggio ambientale. Con una specifica attività rivolta a cartografie tematiche e modellistica ambientale. Che guarda caso comprende l’elaborazione di modelli predittivi di fenomeni come incendi, alluvioni e frane. Tutti ambiti correlati al problema degli incendi. Visto che là dove – facilitato dalla siccità – il fuoco si mangia la vegetazione, fatalmente si verificano dissesti idrogeologici e piogge anche non torrenziali generano fenomeni erosivi, dilavamenti e alluvioni.
Per capire come fermare le fiamme, infatti, bisogna conoscere. Magari cose apparentemente sorprendenti agli occhi dei profani. Come il fatto che «secondo i dati risalenti a un monitoraggio del 2010 – spiega Roberto Costantini, responsabile della sede grossetana del Lamma – la Toscana ha circa 1,2 milioni di ettari di superficie forestale, pari al 52,12% del suo territorio. In provincia di Grosseto (4.500 kmq di superfice) nel 1954 gli ettari a bosco erano circa 175mila, 1.750 km quadrati, ma nel 2013 risultavano circa 203mila ettari, 2.030 kmq, ovverosia quasi il 50% dell’intera superficie provinciale. Il che equivale a dire che in sessant’anni la superficie boscata è aumentata del 16%, equivalente a 28.000 ettari».
Tutto questo, è evidente, ha molto a che vedere con le strategie di prevenzione e di gestione degl’incendi. Perché la prevalenza in Toscana del bosco ceduo, circa il 75% del patrimonio forestale, con una ‘provvigione legnosa’ di circa 124 milioni di metri cubi e un accrescimento medio annuo è di circa il 4% [dato Uncem], condizionano senza dubbio le modalità di manutenzione ordinaria e quelle d’intervento nelle fasi d’emergenza. A proposito: andrebbe preso magari atto che allo spopolamento di molte aree della provincia, non è stato per troppo tempo contrapposto un programma, chiaramente pluriennale, di gestione ordinaria del patrimonio boschivo.
Dopodiché ognuno di noi può avere la presunzione di sapere cosa dovrebbe essere fatto. Ma per evitare di trovarci tutti quanti ad abbaiare alla luna – magari già nei prossimi giorni, perché i piromani non vanno in ferie – forse sarebbe il caso di mettersi d’accordo sul metodo. E poi lasciare dirimere il merito a chi ha le competenze per farlo. Dopodiché esprimere giudizi. Nel frattempo, guardiamoci intorno e fidiamoci delle forze dell’ordine.