GROSSETO – Sabato prossimo, 29 aprile alle 15, nella sala 1° Maggio di via Repubblica Domenicana, a Grosseto si terrà il terzo seminario di Attac Grosseto sul tema: “Come arrivare a forme di autogoverno delle città” (con quali strumenti). Relatore dell’incontro sarà il professor Carmine Piscopo (Assessore ai Beni Comuni – Comune di Napoli)
Perché proporre forme di autogoverno? Negli ultimi anni la politica italiana e europea si sono distinte per la tenacia con cui hanno perseguito politiche di austerità finalizzate al contenimento della spesa sociale e all’introduzione di processi di privatizzazioni e precarizzazione, e queste politiche hanno impoverito larghi strati della società italiana creando anche un distacco dei cittadini dalla democrazia rappresentativa.
Forme di autogoverno nelle comunità locali possono riguardare: i beni comuni, i modelli di sviluppo a valenza etica fondati sulla valorizzazione durevole delle risorse, l’inclusione sociale, i sui servizi pubblici, ecc; questo è il presupposto essenziale per la trasformazione del modello di sviluppo capace di di produrre relazioni solidali e non gerarchiche nella società.
Forme di autogoverno che sottraggano progressivamente ai grandi apparati tecno-finanziari e produttivi della globalizzazione economica gli strumenti del loro dominio omologante e distruttivo sui diritti dei cittadini. Si deve operare per far nascere una democrazia locale, ecologica, solidale,capace di tessere reti fra associazioni, movimenti e cittadini singoli dal basso per costituire un importante antidoto ai modelli della globalizzazione finanziaria.
In questa prospettiva si può configurare una visione della democrazia partecipativa che non la interpreta solo come strumento di rivitalizzazione della vita democratica a fronte della crisi della democrazia rappresentativa, ma soprattutto la interpreta come strumento di “liberalizzazione” della vita quotidiana collettiva e individuale dalle decisioni prese dai grandi gruppi finanziari a livello planetario, intraprendendo un percorso verso l’autodeterminazione degli stili di vita e di consumo.
L’interazione crescente fra crescita economica, benessere, e crisi della democrazia rappresentativa è evidente, per questo la democrazia partecipativa è indispensabile come coagulo per una diversa società che porti a una migliore qualità della vita contro scelte economiche territoriali, ambientali, infrastrutturali non più riconosciute come portatrici di benessere ma solo come sperpero di denaro pubblico e distruzione ambientale.
Quanto sopra esposto è quello che giustifica le molte resistenze, negli enti di governo del territorio, ubriachi a destra ma anche a sinistra di crescita economica, di privatizzazioni e globalizzazioni competitive, ad attivare percorsi strutturati di democrazia partecipativa in grado di trattare modelli conflittuali della partecipazione. Prevale in molti casi la sensazione che aprire alla partecipazione significhi mettere al nudo ideologie e interessi ormai estranei al “sentire comune” dei cittadini.
Se questa è la posta in gioco della partecipazione (rimettere il benessere e la felicità pubblica al centro delle politiche delle istituzioni locali), è evidente l’importanza di percorsi di maturazione culturale e pratica nei processi partecipativi. Da un insieme scollegato e episodico di consultazioni, bilanci partecipativi, sociali e di genere, arene deliberative, percorsi negoziali su singoli problemi su cui caso per caso si cercano soluzioni e conflitti presupporre invece un percorso di costruzione di reti volte a connettere, confrontare, creare osmosi fra diverse esperienze fino al configurarsi, nelle esperienze amministrative più avanzate, per delle proposte per una democrazia partecipativa come pratica ordinaria di governo in tutti i settori dell’amministrazione locale.