GROSSETO – «Per contrastare il caporalato in agricoltura non bastano gli slogan. In questi giorni, infatti, a due passi dall’area di servizio “Da Gigi” sull’Aurelia sud uscendo da Grosseto, sono riapparse le baracche costruite dai braccianti agricoli che vengono reclutati dai caporali. Con l’arrivo della bella stagione, d’altra parte, c’è bisogno di braccia per star dietro a diverse colture: dai peperoni alle melanzane, dalla frutta ai pomodori. E il mercato nero si organizza». Afferma il segretario della Cgil Claudio Renzetti.
«Appena lo scorso novembre la Cgil aveva denunciato il preoccupante radicamento a Grosseto del fenomeno del caporalato – prosegue Renzetti -, documentando la presenza di un’organizzazione illegale che con una flotta di pulmini riforniva di manodopera le aziende vitivinicole di tutto il sud della Toscana. Qualche reazione a caldo, poi non è successo più nulla. Ieri la notizia degli arresti a Prato. Il problema continua ad esistere ed è sotto gli occhi di tutti. La Cgil vorrebbe fosse affrontato senza sensazionalismi e senza fare di tutta l’erba un fascio. Ma non può accettare le autoassoluzioni a prescindere pronunciate da soggetti che hanno indubbie responsabilità, provando imbarazzo per chi lo ha fatto nei mesi scorsi».
«Denunce e controlli sono determinanti, ma dobbiamo riconoscere che c’è anche un problema politico – continua la Cgil -. Per questo ci rivolgiamo alla politica assumendoci l’onere di proposte concrete e percorribili, com’è nello stile del nostro sindacato. Che non dice mai no e basta. In primo luogo ci rivolgiamo al Governo, il cui disegno di legge, tra l’altro, prevede la confisca dei beni alle aziende che commettono il reato di caporalato, la responsabilità in solido dell’imprenditore in caso di lavoro nero o irregolare, l’assistenza legale gratuita per i braccianti che denunciano e un inasprimento delle pene per i caporali. Sono passati troppi mesi: la legge va approvata subito e senza stravolgimenti».
«Vorremmo anche si studiasse come nelle sue forme border line il caporalato incrocia la progressiva precarizzazione e deregolamentazione del mondo del lavoro, anche avvalendosi dell’apporto di alcuni consulenti compiacenti com’è avvenuto a Prato – continua -. Poi ci rivolgiamo alla Regione Toscana: apprezziamo le parole di Rossi… ma ora servono fatti. Per questo chiediamo siano fissate per legge le linee guida sugli “indici di congruità” in agricoltura; perché oggi troppi imprenditori agricoli con la terra ma senza operai firmano contratti formalmente regolari con altri “imprenditori agricoli” che gestiscono centinaia di operai senza nemmeno un fazzoletto di terra. Contratti per raccogliere l’uva con importi nell’ordine dei 300- 450 euro a ettaro, quando anche con la forma più precaria e destrutturata di retribuzione “regolare”, i voucher, non possono volerci meno di 650-700 euro. Oppure “contratti” per potare gli olivi, a un prezzo di 3-5 euro a pianta».
«Se non ci vogliamo prendere in giro, serve una norma che indichi quale è il livello di retribuzione minimo tollerabile per un certo tipo di lavoro. La Puglia e altri l’hanno fatto. Sarebbe opportuno lo facesse anche la Toscana. Infine ci rivolgiamo ai candidati sindaco con alcune proposte concrete. Il comune di Eboli – sottolinea la Cgil -, seguito da altri, ha istituito lo sportello per il “Collocamento pubblico contro illegalità” con un accordo tra sindacati confederali, associazioni di categoria e centri per l’impiego; perché combattere il caporalato significa anche aiutare gl’imprenditori a trovare personale stagionale senza le consuete lungaggini burocratiche».
«In alcuni territori sono stati fatti accordi per la totale tracciabilità dei compensi in agricoltura, anche attraverso l’utilizzo obbligatorio di una semplice posta play ricaricabile. Queste sono buone pratiche che funzionano, non utopie. Cosa ne pensano i nostri candidati sindaco? La Cgil è pronta. Concludo riattizzando un dibattito purtroppo sopito. Il collegamento diretto tra il rimpatrio forzoso e il reato di clandestinità della Bossi Fini è uno dei principali responsabili dell’incremento del caporalato e del lavoro nero. Forse è il caso di riaprire la discussione – conclude -, ma stavolta per produrre esiti concreti».