di Andrea Martinelli
Fu chiamata così: “primavera giuncarichese”, la fase iniziale del giornalino, de “Il Giunco”, intendendo con ciò un periodo e un percorso di rinascita, di rifioritura della vita paesana che, all’epoca si era molto affievolita (oggi non è poi tanto diverso).
Pur tra l’immancabile goliardia paesana, fatta di battute e benevoli scherni, oltremodo condita con il “tipico”, immarcescibile “Meraldismo” (immarcescibile, vuol dire che non può marcire, che perdura nel tempo) che ha plagiato e plasmato i modi di dire e di raccontare, come le espressioni gestuali di giovani e meno giovani per intere generazioni, c’erano motivi e ragioni di serietà e di impegno.
Il primo, senza ombra di dubbio, pur tra diversi modi di interpretare il paese, era l’amore per Giuncarico. Amore contrastato, come contrastate sono state da sempre (ci hanno ricordato i più vecchi) le vicende e le cose che hanno caratterizzato la vita di questo borgo maremmano. Un amore comunque profondo di chi per discendenza familiare vi aveva avuto la nascita, di chi invece in questo paese vi aveva trovato dimora da un lungo o breve periodo. Dunque, come inevitabile conseguenza del primo motivo: il bisogno della scoperta delle radici storiche, umane, sociali, etc, etc, di Giuncarico. A partire dal nome stesso del paese e dalla sua origine, anch’essa (putacaso) contrastata. Una diatriba che vuole (ancora) come la più accreditata sia la derivazione da “giunco” (la pianta) e chi invece sottilizza per una derivazione dal latino “jus”, diritto, nel senso di possesso, possedimento di qualcuno (del “kaiser”?). Comunque, ciò aveva risvegliato interessi, sentimenti e passioni fino a quel momento nascosti, coinvolgendo persone di ogni età e sesso e soprattutto aveva dimostrato come facendo certe cose, cioè impegnandosi in qualcosa di concreto, benché divertente, si scoprissero inaspettatamente qualità e talenti che si celavano nei giuncarichesi, giovani e meno giovani: nella scrittura, nel disegno, nella fotografia, nell’umorismo. Non solo, si era persino giunti alla stesura di un “regolamento interno” al “Giunco”, una specie di costituzione, uno statuto, che alla lettura avrebbe fatto sussultare (di gioia e di stupore) le più accreditate menti “liberali”, per quanto di “illuminato senso democratico” erano pervasi gli intenti e le finalità di questo semplice giornalino paesano. Per questo secondo motivo, diciamo culturale, si era andati alla ricerca delle cause del malessere e di quella demoralizzazione che pervadeva la vita paesana, riscontrandone una, forse, nella perdita di coscienza favorevole collocazione geografica di Giuncarico. Nel senso che si tentava di far vedere, in modo diverso da quella che era ritenuta la visione distorta di molti paesani, come questo paese non si trovava in una condizione disagiata, isolata, ma quanto questa sua collocazione fosse stata, già a suo tempo, motivo di vigore, essendo “equidistante” e vicina, ai più importanti centri turistici e non solo della Maremma. E come questa potesse essere riconsiderata come nuovo motivo di crescita per Giuncarico. (Motivi tutt’ora validi! La posizione geografica non cambia). Una seconda più diretta voleva che si andasse a trovare un “colpevole”, fosse questo un’istituzione paesana o un gruppo o “clan” di persone che tenevano le redini del paese. Sì. un colpevole si era intravisto in un certo “oscurantismo” politico, in un tentativo di ricondurre il tutto ad un’unica istituzione o organizzazione. Forse non era così, anche se motivi di sospetto c’erano.
Molta acqua è passata sotto i ponti e si è portata via tante cose e purtroppo anche qualche persona che non possiamo non rimpiangere e ricordare. Fatto sta che nonostante quella “primavera” che si è affievolita, Giuncarico vive ancora in una stasi che potrebbe aggravarsi nel caso in cui poste e scuole dovessero interferire in modo negativo con la loro chiusura nella vita del paese. Allora davvero non si potrebbero trovare colpevoli nei singoli individui, ma in contesti più ampi che riguardano le politiche amministrative e i progetti di gestione territoriale. E’ ovvio che una carenza di sviluppo dei piccoli borghi comporta tali inconvenienti come il ridimensionamento dei pubblici servizi. Forse anche gli amministratori dovrebbero avere una visione più complessiva e generale dei territori e delle loro potenzialità, magari non coltivando il solo orticello partitico se non addirittura “interfamiliare” o “interamichevole” magari pensando che un possibile, anche se lontano “sviluppo” posso essere per queste “coltivazioni” un danno e non un beneficio.