GROSSETO – Nella settimana che ha visto l’Italia dibattere sul tema della giustizia fai da te, dal tragico caso di Vaprio D’Adda a quello meno tragico ma non meno eclatante di Valentino Rossi sul circuito di Sepang, anche la Maremma ha voluto la sua parte.
Il tanto atteso confronto tra Grosseto e Viterbese riportava, infatti, la famiglia Camilli sul luogo del delitto e per i tifosi, ben consapevoli dell’atteggiamento sanguigno del patriarca Piero, era questa l’occasione per realizzare propositi di vendetta per un titolo sportivo finito nell’oblio.
In Maremma invece amiamo andare contro corrente e in realtà la sfida dell’anno si è trasformata nella giornata dell’indifferenza: qualche tentativo della stampa di soffiare sulle braci, qualche proclama sui social ma alla fine il leit motiv è stato: sì vincere, ma solo per non perdere la testa della classifica. Niente di più e niente di meno da quello richiesto ogni domenica.
Persino la Curva Nord che apparentemente sembra accendere le micce quando espone un primo striscione con scritto “La Curva Nord non dimentica” lascia i fondamentalisti con l’amaro in bocca alzando al cielo il messaggio a seguire: “Ciao Arrigo Dolso” e anche il “Senza storia né città ma quale rivalità” è sembrato più un messaggio ai viterbesi che alla famiglia Camilli stessa. Di certo il: “Salutiamo la squadra di Grotte di Castro” è stato il colpo geniale che in poche parole ha espresso l’amarezza di tanti anni di vassallaggio sportivo, ma poi è finito tutto li.
Il gol di Nappello nel recupero del primo tempo, quando ormai persino il tunnel dello spogliatoio attendeva spazientito il rientro delle squadre, fa esplodere uno Zecchini che in serie D si permette la presenza di duemilacinquecento tifosi e chiude definitivamente la pagina su Piero Camilli e su quel titolo sportivo che non c’è più.
La partita finisce in un pareggio che mantiene la rivale a distanza e in sala stampa si parla solo di tattiche, moduli e schemi, tanto che l’unico richiamo di camilliana memoria lo fa Nofri Onofri, allenatore della Viterbese, quando all’ennesimo interrogativo se il 4-2-3-1 fosse meglio del 3-5-2, sbotta così: ”Non è che durante una partita si può cambiare dieci moduli, vorrebbe dire che vai a caso, io dico a spaglio, come le pecore quando il pastore maremmano non le raduna! Ecco io a spaglio non ci voglio andare.”.
Si spengono quindi luci e i microfoni su questa giornata e anche se dobbiamo ammettere che perdere centotré anni di storia ha fatto male, ormai è un dolore passato, come la malaria ai tempi della bonifica o come l’alluvione del ‘66, adesso si guarda avanti, adesso c’è il nuovo sogno americano.