GROSSETO – «Non basta enunciare in modo estemporaneo una soluzione teorica perché questa sia veramente perseguibile. Teorizzare la costituzione di una cooperativa di braccianti stranieri – come ha fatto l’associazione “Attac” nel corso dell’iniziativa della Cgil sul tema delicato delle “agromafie” – per aggredire il problema del caporalato e del lavoro nero in agricoltura, è in questo senso più una provocazione che un progetto realistico. E sinceramente di tutto c’è bisogno fuorché di provocazioni.
La forma societaria cooperativa non può essere strumentalizzata a fini politici. Le cooperative, infatti, nascono sulla base di progetti di lavoro delle singole persone che si associano dopo aver valutato attentamente le opportunità offerte dal mercato, mettendosi in gioco, credendoci e rischiando insieme in una logica d’impresa. Le cooperative, peraltro, non fanno somministrazione di personale come le agenzie interinali.
Anche nella nostra provincia, a Legacoop sono associate cooperative che operano nel settore agroforestale con grande professionalità, e che rispettano legalità e dignità del lavoro nonostante la crisi e le difficoltà del mercato, che impongono loro sacrifici e scelte coraggiose.
Non ci sono scorciatoie: agrimafie e caporalato si sconfiggono con il rispetto delle leggi e con un modus operandi da parte dei produttori agricoli che rifiuta il lavoro nero e promuove la cooperazione per chiudere le filiere.
In questi mesi Legacoop Toscana, insieme all’Aci, ha raccolto le firme per una nuova legge contro le false cooperative, che spesso sono utilizzate proprio per intermediare lavoro nero; con l’obiettivo di aprire una nuova stagione all’insegna del lavoro regolare e della dignità di soci e dipendenti. Da qui vogliamo ripartire, guardando ai problemi di un territorio che è invecchiato troppo, nel quale l’involuzione demografica rischia di essere di ostacolo a ogni progetto di sviluppo sociale ed economico.
Crediamo che la nuova frontiera della cooperazione saranno le cooperative di comunità, sia per rispondere al meglio ai bisogni delle piccole comunità, sia come strumento per ripopolare quei territori. Ma perché questo avvenga non basteranno certo le petizioni di principio».