GROSSETO – Anche la Coldiretti di Grosseto è stata protagonista a Roma in piazza Montecitorio per la grande mobilitazione tesa a scongiurare un grave inganno per tutti i consumatori.
Dal capoluogo gli allevatori con un pullman e diverse auto hanno raggiunto la Capitale. A capo della delegazione il direttore della Coldiretti della Maremma, Andrea Renna. Con lui il sindaco di Capalbio, Luigi Bellumori ed il presidente di Latte Maremma, Fabrizio Tistarelli.
“Ringrazio a nome mio personale, del presidente Francesco Viaggi e di tutta l’organizzazione, il sindaco Bellumori e il presidente di Latte Maremma Tistarelli per la presenza e l’appoggio alla nostra mobilitazione – ha detto Renna – così come ringrazio Luca Sani, presidente della commissione agricoltura della Camera dei Deputati. Sani, Bellumori e Tistarelli si sono confrontati con il presidente nazionale di Coldiretti Roberto Moncalo a margine della manifestazione in compagnia del presidente regionale di Coldiretti Toscana Tulio Marcelli, dello stesso Renna e del direttore regionale Roberto Maddè. Come Coldiretti non possiamo permettere di far ingannare i consumatori con un danno per l’economia che si traduce con un attentato al patrimonio enogastronomico con conseguente perdita occupazionale, un vero sfregio all’ambiente. Per questo è necessario dire #noaiformaggisenzalatte e #sialladistintivitàitaliana. Il via libera alla polvere di latte va evitato smascherando i “furbetti del formaggino”. Questo l’impegno che i ministri di agricoltura e ambiente e vari parlamentari, di diverse forze politiche di tutti gli schieramenti, tra i quali anche il grossetano Sani, hanno assunto pubblicamente davanti oltre mille allevatori. Con un chilo di polvere di latte, che costa sul mercato internazionale 2 euro – afferma ancora Renna – è possibile produrre 10 litri di latte, 15 mozzarelle o 64 vasetti confezioni di yogurt e tutto con lo stesso identico sapore ma viene a mancare quella distintività che viene solo dal latte fresco dei diversi territori”.
Il pressing esercitato dalla Commissione Europea sull’Italia ha già stimolato – sottolinea la Coldiretti – gli interessi degli speculatori con le importazioni di latte e crema in polvere che sono aumentate del 16 per cento nel primo trimestre 2015 rispetto allo scorso anno, secondo una analisi della Coldiretti. E non è certo casuale che i 2/3 delle importazioni provengano da Francia e Germania, l’asse che detta la linea politica dell’Unione Europea.
“E’ in corso un pericoloso braccio di ferro che potrebbe portare alla chiusura delle stalle, alla perdita di posti di lavoro, all’omologazione e all’appiattimento qualitativo della produzione nazionale dopo la lettera di diffida inviata all’Italia dalla Commissione Europea, che è stata purtroppo sollecitata dall’associazione italiana delle Industrie lattiero casearie (Assolatte). Si vuole porre fine al divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari, previsto dalla legge nazionale n. 138 dell’11 aprile del 1974, che ha garantito per oltre 40 anni l’alta qualità della produzione casearia nazionale. Il superamento di questa norma – continua Renna – provocherebbe l’abbassamento della qualità, l’omologazione dei sapori, un maggior rischio di frodi e la perdita di quella distintività che solo il latte fresco con le sue proprietà organolettiche e nutrizionali assicura ai formaggi, yogurt e latticini Made in Italy”.
La polvere di latte è un prodotto “morto”, privo di proprietà organolettiche, che può arrivare da qualsiasi parte del mondo dove i maggiori produttori sono Nuova Zelanda e Stati Uniti mentre in Europa i leader sono Francia e Germania. La disidratazione consente di concentrare i costituenti del latte rendendoli conservabili a temperatura ambiente per oltre un anno e la tecnologia di produzione prevede che il latte, dopo essere stato corretto del suo contenuto di grassi, venga trattato termicamente con una perdita di valore biologico delle proteine del latte che può essere anche rilevante.
“Vanno evitate – conclude Renna – le frodi che danneggiano i consumatori con l’offerta di prodotti di basso standard qualitativo, con pesanti effetti sul piano economico, occupazionale e ambientale in un momento in cui l’Italia così come la Toscana e la nostra provincia deve puntare sulle sue distintività per tornare a crescere”.