a cura di Marco Gasparri*
Torna l’appuntamento con la rubrica de IlGiunco.net “Hello Web, la comunicazione al tempo di internet”.
Lo sviluppo del web 2.0 e l’emergere dei social network come mezzo di comunicazione globale sta generando un ampio dibattito sulla loro influenza sugli equilibri politici internazionali. Facebook e Twitter non sono sufficienti a rovesciare dei governi o delle dittature, ma possono favorire l’organizzazione delle proteste, convogliare le rivendicazioni e raccontare al resto del mondo ciò che accade durante una rivoluzione.
Così per esempio gli estremisti islamici di IS hanno capito che per fare la guerra hanno bisogno anche della propaganda via web: hanno infatti profili aggiornati, blog e curano anche dei siti ad hoc. Il cambiamento strutturale di al Qaida in network decentralizzato e privo di gerarchia ha reso il web strumento principe per esigenze operative, di collegamento e di confronto tra gruppi e centri di reclutamento.
Negli anni Novanta la comunicazione dei jihadisti si riduceva alle videoregistrazioni: si facevano ritrarre armati, nascosti in qualche grotta attorno a un leader fanatico che lanciava anatemi ai nemici dell’islam. I nastri registrati erano mandati in onda sulle televisioni arabe e trovavano risonanza in occidente.
Gli estremisti di oggi usano il web: twittano, “postano” foto su Facebook. La loro passione per la tecnologia non è segno di un cambiamento, ma semplice strategia di guerra: hanno bisogno del web, hanno la necessità di raccontare la loro storia e ottengono la considerazione dei media grazie ai social network.
I siti jihadisti ospitano, generalmente, scritti di predicatori che legittimano con le fatwa gli attacchi contro l’Occidente e svolgono finalità addestrative, di comunicazione o spiccatamente propagandistiche. I potenziali seguaci o i curiosi possono scaricare manuali e monografie di argomento tattico-militare, recuperare istruzioni dettagliate per esplosivi, informarsi su strategie e tecniche operative. I siti non operano isolatamente, ma costituiscono una rete organizzata.
Sul piano tattico-terroristico, Internet raggiunge una vasta audience di simpatizzanti, assumendo nitidamente l’aspetto di campo d’addestramento virtuale.
L’Is sui social mostra le proprie armi, le proprie conquiste, le vittorie, per spaventare l’avversario. Allo stesso modo, i militanti sfruttano l’onda dei media, attraverso il web, per raggiungere i sostenitori aumentare i seguaci. I loro profili su Twitter e Facebook documentano le loro azioni: anche le stragi o le decapitazioni.
La rete veicola propaganda, proselitismo e indottrinamento e consente il controllo e monitoraggio dei piani di attacco, come risulta da un rapporto diffuso dopo l’11 settembre che ha attestato una fitta corrispondenza, criptata via web e postata su un forum protetto da password, amplificatasi nell’agosto del 2001 tra gli appartenenti al network jihadista.
L’incremento esponenziale dei siti jihadisti (30 nel 1997 e oggi circa 6 mila), consente di comprendere l’evoluzione del fenomeno. La rete è divenuta il sostituto dei campi di addestramento, evita dispendi economici e materiali, accorcia i tempi e mette in contatto con i capi del terrore con possibili adepti.
Coniugando i valori coranici con la modernità del web e della tv satellitare, insomma, l’estremismo islamico intende assicurarsi ampi spazi nel panorama politico mondiale. E ci sta riuscendo.
* Marco Gasparri è Direttore di Studio Kalimero, agenzia di comunicazione e marketing. Si occupa da sempre di innovazione e di divulgazione di nuovi media e tecnologie.