di Silvano Polvani
La lotta dei cinque mesi è una bella storia che non si trova nei libri di storia, è una storia umile ma significativa, una fra le pagine più belle che siano state scritte coralmente dalla nostra comunità, che ci parla del nostro territorio, dei nostri comuni: Gavorrano, Massa Marittima, Scarlino, Montieri, Follonica e Roccastrada. E’ la storia dei minatori di Gavorrano, Niccioleta, Boccheggiano e Ribolla che nel febbraio del 1951 decisero tutti assieme di entrare in agitazione contro la Montecatini a causa del “profondo disagio economico e sociale” presente nel bacino minerario della Maremma.
Si richiedeva in particolare la trasformazione del cottimo individuale in cottimo collettivo, l’incremento della produzione, la costruzione da parte della Montecatini di case di riposo, di abitazioni per gli operai, assunzione di mano d’opera giovanile, la possibilità di trasformare la pirite nel territorio.
Il cottimo individuale era la forma di retribuzione che la Montecatini riconosceva ai minatori, era questo un sistema intrigato e difficile da comprendere, ma soprattutto essendo individuale portava i lavoratori ad impegnarsi sempre con il massimo sforzo, per guadagnare di più, con pesanti effetti per il loro fisico e con la conseguenza di gravi infortuni, in particolare a fine turno quando il fisico appariva stremato. Era quindi comprensibile, per ridurre i rischi e lo sfruttamento, per abbassare la fatica, renderlo collettivo.
La Montecatini non perse tempo e non si lasciò intimorire dalle richieste che le erano state avanzate e immediatamente rispose che nulla di quanto preteso sarebbe stato concesso. Stigmatizzava, inoltre, che non era proprio il caso di mettere in discussione il cottimo individuale. Da subito, appariva evidente, che la questione aperta fra sindacato e Montecatini avrebbe preso una brutta piega e si annunciava un braccio di ferro, una prova di forza capace di riscrivere i rapporti sino allora consolidati. Il sindacato sapeva di poter contare sull’unità dei lavoratori, come non mai determinati nell’obiettivo, sulla solidarietà che avrebbero richiamato anche fuori dalla miniera. La Montecatini da parte sua non intendeva cedere a richieste che potevano significare una perdita consistente dei propri profitti oltre al venire meno della sua autorità sull’organizzazione del lavoro, sul controllo delle persone, sulla sua politica fatta del bastone e la carota che l’avevano portata ai livelli in cui si trovava, da una parte benefattrice e dall’altra sorda alle richieste.
Che la lotta intrapresa contro la Montecatini fosse lunga e dura non sfuggiva a nessuno, come pure nessuno era in grado di scommettere sull’esito di questa. Lo scontro si fece subito duro e pesante, da parte del sindacato si proclamarono scioperi e occupazioni delle miniere, la risposta della Montecatini passò dalle intimidazioni alle denunce, dalle decurtazioni dei salari alle sospensioni ed infine ai licenziamenti.
La risposta del territorio fu una grande azione di solidarietà di tutta la comunità delle Colline Metallifere. Bisognava sostenere la lotta dei minatori. Furono allora creati nei paesi minerari i “Comitati popolari di solidarietà con i minatori“ che avevano il compito di raccogliere fondi in denaro e in viveri per il sostentamento dei minatori provati dalle decisioni aziendali. In particolare ci si rivolgeva verso la campagna e le cooperative. Si raccoglieva di tutto: pane, formaggio, uova, olio, farina, pollame e denaro proveniente dalle sottoscrizioni aperte in tutti i paesi. La raccolta era gestita dal comitato di agitazione provinciale che ne effettuava la distribuzione presso i piazzali d’ingresso alla miniera. Per la distribuzione veniva usato il criterio del bisogno delle famiglie in quanto a carichi familiari e entrate da stipendi.
Nei luoghi di ritrovo non si parlava che di questo, nei bar, nelle osterie, nei partiti come in parrocchia la lotta dei minatori era l’argomento, si aprì in quei mesi una vera e propria gara di solidarietà per sostenere i minatori, tutti erano consapevoli che la loro vittoria avrebbe significato un miglioramento della vita per tutti: non solo per i minatori che chiedevano maggiori salari e meno sacrifici nel lavoro ma per i giovani disoccupati che avrebbero potuto sperare in un lavoro, per i commercianti che speravano di dare nuovo impulso alle vendite, come per l’imprenditoria in genere che confidava di essere coinvolta nel piano di opere sociali richiesto dai minatori alla Montecatini.
Purtroppo la lotta dei cinque mesi, questa grande lotta corale di un territorio non diede i risultati attesi: rimase il cottimo individuale.
La lotta dei cinque mesi nell’immediato diffuse delusione e amarezza ma non si può non riconoscere che questa ebbe una grande influenza per i benefici ed i miglioramenti che i minatori raggiunsero negli anni successivi.
Quel conflitto, infatti, fu efficace per la conquista delle 40 ore, prima categoria in Italia, e che senza quella significativa lotta i minatori non avrebbero certamente ottenuto il pensionamento anticipato a cinquantacinque anni; il Parlamento inoltre non avrebbe emanato una nuova specifica legge di polizia mineraria per garantire la sicurezza del lavoro in miniera; inoltre la stessa Montecatini, sia pure con dieci anni di ritardo, realizzerà a Scarlino un grande stabilimento per la lavorazione del minerale proveniente dalle miniere della zona.
Il germoglio di tutto questo era contenuto nella piattaforma rivendicativa dei minatori che portarono avanti con coraggio e determinazione e fu fatto proprio dalla comunità con una espressione di solidarietà e una richiesta di giustizia mai viste prima di allora.