a cura di Silvano Polvani
RIBOLLA – Il 4 di Maggio del 1954, è la data della tragedia di Ribolla. Oggi la ricordiamo nel suo sessantesimo anniversario. Un fremito di orrore percorse tutta l’Italia al giungere delle notizie. Su tutti i giornali apparvero i titoli delle grandi occasioni accompagnati da fotografie che riprendevano scene strazianti, minatori delle squadre di soccorso sporchi di fango e con il volto annerito dalla polvere che risalivano su, sfiniti e semiasfissiati dai gas, dai pozzi della morte. Ci volle un disastro perché la miniera di carbone e il villaggio di Ribolla fossero degni di attenzione. La grave tragedia di Ribolla segnerà e rimarrà nel sentimento della gente come il momento più alto del dolore e della commozione.
A 60 anni da quella tragica vicenda il ricordo non solo è ancora presente ma vivo fra la gente e le Istituzioni.
Dentro a questi ricordi altri si affacciano alla memoria come quello di Otello Tacconi.
Tacconi nasce a Roccastrada nel 1931 e morì nel 1963. Prima di essere assunto alla miniera di Ribolla lavorò come come boscaiolo, bracciante agricolo e successivamente nella miniera e cava di Pietra Tonda, sempre nel comune di Roccastrada. Iscritto al partito comunista prese la tessera della Cgil sino ad essere eletto segretario della commissione interna.
Perché il ricordo di Otello Tacconi? Perché il suo fu un esempio di coraggio e moralità che non è facile riscontrare.
Poco prima della sciagura, era il 25 febbraio del 1954, il Tacconi inviò una lettera all’Unità per denunciare la situazione di forte disagio che i lavoratori dovevano sopportare alla miniera di Ribolla, fece di più pretese che nell’articolo fosse inserito il nome del direttore Lionello Padroni come il responsabile delle angherie e soprusi che i lavoratori dovevano sostenere. Scriveva il Tacconi “La Montecatini non si preoccupa di aprire nuovi cantieri e di fare grandi preparazioni. In miniera vi sono dei lavori che fanno paura ad entrarci. Le grandi pressioni vanno aumentando e queste pressioni provengono dai franamenti. Poche sono le compagnie dove non vi è il fuoco e ciò va attribuito ai vuoti che avvengono con il sistema del franamento. In questi vuoti infatti, avviene l’autocombustione e divengono praticamente dei serbatoi di grisou.
Per la Montecatini la salute dei lavoratori non conta nulla. Conta soltanto la realizzazione del massimo profitto, col massimo sfruttamento dei lavoratori. Se diamo uno sguardo agli infortuni che si sono verificati negli ultimi tempi avremo un quadro impressionante di omicidi bianchi. Mancano di prevenzione e di protezione, ma dobbiamo vedere nel 1954 usare il “maialino d’India” per segnalare in miniera la presenza di ossido di carbonio, roba di 500 anni fa! E di ciò dobbiamo dare merito al direttore Lionello Padroni e alla sua scienza “.
Fu immediatamente licenziato.
Nel 1958 durante lo svolgimento del processo a Verona il Tacconi fu convocato a Milano dalla stessa Montecatini dove gli fu chiesto, fra promesse e lusinghe, di ritrattare quell’articolo e in cambio avrebbe ricevuto: un lavoro come sorvegliante in uno stabilimento Montecatini da lui scelto; oppure un esborso di venticinque milioni (all’epoca valevano quarant’anni di lavoro da minatore).
Tacconi, come lui raccontò, che aveva subito avvertito “l’odore dei soldi” disse di no e “Mi nascondevo la mano dietro la schiena per paura di essere convinto a firmare una cosa che per me sarebbe stata vergognosa sconfitta”.
Pur essendo senza lavoro, con una moglie malata e due figli di cui uno appena nato, Otello Tacconi non perse la sua dignità di uomo, non rinnegò i suoi compagni caduti sul lavoro, un fulgido esempio di onestà da dedicare alle nuove generazioni perché attraverso la memoria di uomini di questo stampo, oggi merce rara, riconoscano i valori che dovrebbero esssere a base della propria esistenza: solidarietà, giustizia e dignità.