a cura di Simone Pazzaglia
Davide Marsili, un amico, uno scrittore, un ragazzo di poche parole ma non quando prende in mano la penna.
Che dire di lui ha ultimamente scritto un ottimo romanzo dal titolo “L’uomo di Tungsteno” oltre a due racconti su Demian.
Insomma vale la pena di andarselo a cercare e conoscerlo nei suoi libri. Oltre a questo è anche lui un “Viaggiatore” e qui di seguito ci racconta il Bosforo con lo stile che lo contraddistingue.
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Bosforo. In Asia, in Europa, altrove
Il Bosforo. L’hai sempre sognato, forse da quando avevi letto un libro di Manuel Vasquez Montalban in cui il protagonista, Pepe Carvalho, ricordava esperienze incredibili in quei luoghi. Forse per questo, solo per questo, hai accettato il compromesso di una vacanza in crociera. Proprio nei giorni in cui la compagnia patteggiava pene irrisorie per il disastro della Concordia.
Comunque ti sei imbarcato, hai evitato le luci dei bar e le animazioni, limitandoti a quelle strettamente necessarie per il divertimento dei bambini. Hai guardato con distacco quell’ansia da divertimento compulsivo che trapelava dagli sguardi e dai gesti di molti e, quando hai potuto, hai lasciato le rassicuranti compagnie delle escursioni per girare le città liberamente, alla ricerca di posti decadenti e incredibili, su paralleli diversi ma non troppo lontani. Bari vecchia, con le sue icone della Vergine e di S.Nicola in tutti i vicoli e le donne vestite di nero; la Plaka di Atene e poi, dopo i miti di Efeso, finalmente, Istanbul.
Dopo la gita nei luoghi obbligati, la Moschea Blu, Santa Sofia, i tesori del Topkapi, hai cercato il Bosforo, solo con la tua famiglia. Lì hai trovato gli odori che cercavi, i sapori che immaginavi. Hai visto donne col velo che pescavano dal ponte, venditori di spezie e di pesce fresco, commercianti di sanguisughe per un salasso a buon mercato. Hai comprato anacardi e pistacchi, accettando un cambio svantaggioso tra Euro e Lira Turca. Sui gradini di una moschea c’erano due donne in burqa con un iPhone in mano, le hai fotografate, rischiando qualche casino, se ti avessero visto.
Sul ponte Bosforo la gente attraversava e si mischiava – orientali e occidentali – come le acque del mar nero e del mediterraneo. A un tassista musulmano hai chiesto informazioni su Piazza Taxim, sulle proteste degli universitari contro la privatizzazione di Gezi park, sperando di tornare a casa con un’opinione che andasse oltre alle cose lette su l’Internazionale, ma lui parlava male l’inglese, e non ha detto niente di male su Erdogan.
Ad Hagia Sophia hai messo il pollice nel buco di una colonna, usandolo come perno per fare un giro completo con la mano per avverare un desiderio, come vuole la tradizione. Non sei superstizioso, ma quel desiderio era per la salute di qualcuno che ti sta a cuore. A volte si deve credere in qualcosa.
E comunque ora sei qui, sulla poppa di una nave gigantesca. Il privilegio di scrivere sullo sfondo di un paesaggio commovente; monumenti che luccicano nella notte come gli occhi dei tuoi figli. La luna piena – non come quella bianca su sfondo rosso della bandiera che saluta il Bosforo e tutte le strade di Instanbul – che si specchia nelle acque nere del canale. Rumori dal Corno d’oro, e un canto arabo che sale, amplificato, da una moschea. Forse annuncia la fine di una giornata di Ramadan.
Scrivi e sorridi, ma il sorriso è sempre a metà, proprio come quello che avrebbe Pepe Carvalho, perché comunque a casa hai lasciato situazioni irrisolte, e anche perché hai un po’ questa perenne nostalgia da scrittore; questo senso di non appartenenza che non ti abbandona mai. E ti accorgi che ti specchi bene nelle acque del Bosforo, perché sei proprio come lui, un po’ in Asia, un po’ in Europa, ma soprattutto sempre un po’ altrove.
(per ingrandire cliccare sulle foto)
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