a cura di Silvano Polvani
GROSSETO – Nella mia lunga attività da dirigente sindacale per la CGIL, spesso ho incrociato, per ricercare la soluzione ad una vertenza o solo per ascoltare una parola di conforto le massime autorità della nostra Chiesa locale. Con i vescovi della diocesi di Massa Marittima, di Grosseto, ma anche di Pitigliano ho avuto una certa frequentazione. Debbo riconoscere che è stata un’esperienza positiva e sempre ben accolta dalle lavoratrici e dai lavoratori.
Nel 1984 incontrai il vescovo di Massa Marittima, Lorenzo Vivaldo, e il Vescovo di Grosseto, Adelmo Tacconi, che assieme lanciarono un grido di allarme per la crisi che investiva il settore chimico-minerario, chiameranno tutti a reagire, mobiliteranno e sensibilizzeranno le parrocchie che seppero adoperarsi per una efficace informazione e la loro necessaria implicazione (nella foto la santa messa officiata dall’allora vescovo di Grosseto Angelo Scola nella galleria della miniera di Campiano il 4 dicembre del 1991 per la festa di Santa Barbara).
Negli anni successivi, era il novembre del 1991, mi recai alla curia vescovile di Massa Marittima per informare il Vescovo di Massa Marittima, Angelo Comastri, degli sviluppi della vertenza ENI. La sua risposta non si fece attendere: scelse il pulpito della chiesa di San Leopoldo per mettere a fuoco il suo pensiero sui gravi problemi occupazionali e le prospettive dell’economia del territorio. Dall’altare di San Leopoldo, il Santo che dai lussi di una reggia scese tra i poveri e si fece povero con essi, aiutandoli, soccorrendoli, esaltandoli, dalla Chiesa della Ghisa al Santo intitolata, pronunciò la sua omelia con durezza e con enfasi, davanti ai fedeli e alle autorità civili e militari. “(…) Auguriamoci che il terremoto che sta scuotendo il mondo del lavoro non si tramuti in tragedia”. Queste le parole di angoscia e insieme di speranza che il Vescovo pronunciò. Disse di più, parlò di prevaricazione delle leggi del profitto e dell’economia su quelle ben più alte, anche se meno remunerative, del diritto sacrosanto al lavoro e alla giustizia.
“Questa terra – continuò – che si chiama appunto metallifera, dalle miniere ha sempre tratto sostentamento grazie e soprattutto al sacrificio di tanti suoi figli che per estrarre metalli e per far arricchire chissà quante altre persone pronte a dare ordini, a tracciare diagrammi e conteggiar profitti, per secoli sono scesi nelle viscere della terra e in questa hanno spesso lasciato la vita”. Proseguì ancora dicendo: “È tempo che gli egoismi cadano, è tempo della solidarietà vera fra noi che viviamo qui ma anche fra noi e tutti gli altri. Ciascuno quindi, faccia ora la sua parte, ciascuno si rimbocchi le maniche, ciascuno assuma coraggiosamente le proprie responsabilità. E per questo mi rivolgo agli amministratori, ai politici, ai dirigenti d’azienda, ai lavoratori ai quali mi sento particolarmente vicino e pronto a scendere a loro fianco”.
Monsignor Angelo Scola lo raggiunsi tramite mons. Comastri. Come lo informai sulla situazione pesante dei lavoratori del settore minerario non esito ad aggiungere la sua voce a quella di mons. Comastri. Congiuntamente firmarono un telegramma che fu inviato al presidente del consiglio Giulio Andreotti, al ministro dell’industria Guido Bodrato, al presidente e vice presidente dell’ENI. I due Vescovi ricordavano a quanti operavano nella cosa pubblica il dovere, che recentemente era stato ribadito dal Papa Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus “di non separare mai il lavoro dall’uomo che lavora”. Non è mai possibile, scrivevano, limitarsi ad una logica di profitto senza tener conto del diritto fondamentale dell’uomo al lavoro.
Sempre in quell’anno, era il 1991, per Santa Barbara il vescovo Angelo Scola prima di presentarsi all’altare preparato all’imbocco della grande galleria della miniera di Campiano dove celebrò la messa, si intrattenne con i lavoratori portando loro la solidarietà della Chiesa e li elogiò soprattutto per la compostezza dimostrata nel corso della vertenza, ma sottolineò anche che “la pazienza nella tribolazione non significa passività di fronte alla prova”. Ricordò che i due Vescovi di Massa Marittima e Grosseto si erano rivolti alle autorità politiche e industriali come pure a tutte le forze politiche e sociali della provincia “Ai primi abbiamo chiesto il rispetto dei posti di lavoro, della vostra storia, della vostra dignità; ai secondi di promuovere, così come hanno già fatto, un forte movimento di opinione in modo che ciascuno, secondo le proprie responsabilità, metta in essere le condizioni per difendere l’attuale occupazione e per suscitarne di nuova per i giovani”. “Noi – aggiunse – aspettiamo pazienti, ma la nostra pazienza significa anche che siamo decisi a non tacere fino a quando questa risposta non verrà data ai lavoratori che ne hanno pieno diritto”.
Saranno ancora assieme i due vescovi che nel maggio del 1992 si incaricheranno di far recapitare al Papa una lettera che un gruppo di lavoratori, in particolare dallo stabilimento di Scarlino, indirizzò a Giovanni Paolo II per informarlo sulla drammatica vicenda che stavano vivendo. “Rimane per noi molto difficile, – scrivevano –, far sentire la nostra voce perché povera e periferica presso gli organismi nazionali. I nostri vescovi, – continuavano – hanno fatto sentire ripetutamente la loro voce in questa situazione di crisi dando credibilità alla Chiesa, sin da farne abbattere i tradizionali muri anticlericali. Santo Padre, – concludevano il loro accorato appello-, noi mettiamo la nostra situazione nelle sue mani, possiamo chiederle un messaggio di speranza per le nostre attese, certi che la sua autorevole parola amplificherà le nostre legittime richieste, che sono richieste di lavoratori, di famiglie, di giovani”.
Ancora nel giugno del 1994 mi recai nelle stanze della curia del vescovo Angelo Scola chiedendogli di venire in Eurovinil a celebrare la messa. Nessuna obiezione, celebrerà la messa all’interno della sala mensa della società Eurovinil di Grosseto, di fronte a tutte le maestranze di quell’azienda, oltre 250, che stavano attraversando uno dei momenti più tristi della loro prestigiosa storia aziendale.
Non posso chiudere questi ricordi senza citare Mons. Giovanni Santucci, vescovo di Massa Marittima, e mons. Franco Agostinelli, vescovo di Grosseto, i quali nel corso del loro mandato mi hanno sempre ricevuto, ascoltato e consigliato, ma dico di più si sono sempre prestati per quelle che erano le loro possibilità di uomini di Chiesa.