GROSSETO – Pubblichiamo la lettera dell’avvocato della persona che è stata per il momento, nei due gradi di giudizio affrontati, condannata per del delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv. 582, 585 in relazione allart. 577 co. 2 e 01 n. 1 quinquies c.p.. Sulla sentenza della corte d’appello di Firenze è stato presentato ricorso in Cassazione.
“In data 25.10.2023, veniva pubblicato un articolo sul Quotidiano della Maremma Il giunco.net dal titolo “Picchia la sorella e la nipotina di 17 mesi. Ora ho paura ad uscire di casa”, nel quale la presunta vittima raccontava di essere stata oggetto di una “violenza cieca”, “urla, grida, insulti”, da parte del fratello, il quale le avrebbe dato una testata al volto, accanendosi anche contro la nipotina di 17 mesi.
Il “tono” complessivo dello scritto suggeriva al lettore l’idea di una situazione ben oltre l’episodio raccontato, coinvolgendo anche i componenti del nucleo familiare, accusati di averla allontanata per “avere infangato il nome della famiglia” e di avere “tutelato il fratello” nella vicenda, invece che le presunte parti offese.
Il testo evidenziava, inoltre, le preoccupazioni della presunta vittima, la quale riferiva di vivere nella paura di essere nuovamente aggredita, raccontando, altresì, di essere costretta ad impedire ai figli di uscire nel timore che il fratello gli faccia del male. Ebbene, in realtà, la presunta vittima proponeva una interpretazione soggettiva e parziale di un fatto ancora in fase di accertamento, essendo attualmente pendente il processo penale, giungendo a commentare in termini gravemente diffamatori il soggetto coinvolto nella vicenda.
La presunzione di innocenza è un principio del diritto penale, secondo il quale un imputato è considerato non colpevole sino a condanna definitiva. In altre parole, l’imputato è innocente sino ad una sentenza di condanna che sia passata in giudicato.
Non si comprende, pertanto, come possa affermarsi la colpevolezza di una persona, pacificamente presunta innocente, nell’articolo pubblicato.
La presunta vittima era certamente ben consapevole della potenzialità lesiva dello scritto per la reputazione del fratello e dei familiari.
Naturalmente, la rete non è il luogo dove disquisire su responsabilità penali, ancora in fase di accertamento.
Occorre, però – a fronte dei numerosi commenti pubblicati, dove gli autori dei post ritenevano congrua nel caso in oggetto una condanna a decenni di carcere, oltre ad auspicare ogni accidente al presunto colpevole – precisare come la sentenza di cui si discute, si ribadisce, ancora non definitiva, sia stata basata unicamente sul racconto della presunta vittima; le asserite lesioni riportate dalla presunta vittima sono un “arrossamento dello zigomo destro”, compatibile con un episodio di pianto; non solo: la mamma, unica testimone del fatto, accusata dalla
presunta vittima di avere voluto tutelare il fratello durante il processo, ritiene doveroso precisare di non avere potuto confermare la versione data dalla figlia, ribadendo che il figlio non ha neppure toccato né la sorella, né la nipotina, certamente non per i motivi supposti dalla presunta vittima, ma in virtù dell’obbligo di dire la verità di quanto accaduto davanti al Giudice.
L’inciso che ha amareggiato maggiormente è il riferimento alle condizioni di salute del fratello [“per pagare sta prendendo tempo adducendo che sta male”], argomento non necessario e trattato dalla presunta vittima con superficialità.
Ciò posto, le parti coinvolte rappresentano di non essere disposte a continuare a subire una gogna mediatica, sostenuta anche da parte di sconosciuti, che nulla conoscono della reale vicenda, riservandosi di adire le competenti sedi civili e penali per difendere i propri diritti”.