GROSSETO – Si chiamava Alfredo Granitto, era nato a Campobasso, nel 1923, e qui aveva vissuto sino a quando, nel 1941, non si arruolò nel Regio esercito italiano, che lo spedì nell’Egeo nel nono reggimento Margherita.
Dopo l’armistizio Alfredo non ebbe dubbi sulla parte con cui schierarsi: e, dall’isola di Rodi, partecipò alle operazioni di guerra contro i tedeschi. Il 12 settembre 1943 fu fatto prigioniero e deportato in Germania, prima in un campo di concentramento e poi in un campo di lavoro.
Anche dopo la liberazione del campo da parte degli inglesi quella terribile esperienza lo segnò e gli restò dentro.
Oggi in Prefettura quelle sofferenze sono state riconosciute ufficialmente con la consegna di una medaglia d’onore consegnata dal prefetto, Paola Berardino, nelle mani della nipote Ylenia Granitti e del resto della famiglia che vive a Monte Argentario.
«Questa brutta pagina della nostra storia non deve essere dimenticata. È l’unico modo perché queste cose non accadano mai più. In quei giorni si è perso di vista il senso di umanità e si è assistito al disprezzo totale dell’essere umano. Dobbiamo avere presente che questi episodi potrebbero accadere nuovamente.
«Tanti italiani hanno subito questo destino, non solo militari: ebrei, oppositori politici… ma anche fosse stato solo uno, sarebbe comunque terribile anche solo l’idea che quell’uno venisse privato della propria umanità» afferma il prefetto che insieme al sindaco di Monte Argentario, Francesco Borghini, ha consegnato la medaglia nelle mani della nipote, Ylenia Granitto.
«Mio nonno ci raccontava il lungo viaggio della deportazione in condizioni disumane: era arrivato a pesare appena 35 chili. Ci disse di quando stavano per sparargli perché, affamato, aveva rubato una manciata di legumi, e di quando, quasi alla fine, dovette collaborare all’esumazione dei resti dei prigionieri ebrei».
«Quello che lui ha vissuto è diventato parte del nostro patrimonio genetico. Quello che lui, e i compagni, hanno fatto, quando invece di collaborare con i nazisti hanno optato per il proprio sacrificio personale, è stato non essere indifferenti: fare una scelta, anche a costo della vita. Credo che quello che ha vissuto nonno Alfredo, così vicino all’orrore, abbia contribuito a suggellare quei valori che ci fanno essere cittadini del mondo che vivono nel rispetto dell’osservanza dei valori della nostra Costituzione. Cittadini che contrastano gli estremismi e rispettano la dignità umana soccorrendo chi è nel bisogno» prosegue la nipote.
«Questo riconoscimento ci ricorderà che quello che nella vita cambia tutto, è la nostra capacità di scegliere di restare umani; chi è indifferente ha la stessa responsabilità dei carnefici, mentre chi non lo è ha il potere di indirizzare l’esistenza propria e quella degli altri verso il bene».